Bretagna – Prima Parte

Sempre Luglio. Sempre vacche al pascolo. Ma qui non ci sono più contraddizioni. Qui tutto torna. Le coste e l’interno, le spiagge e la nebbia, gli artigiani e i borghesi. Qui è tutto pacificato. È un posto così lontano e così diverso che le antitesi non hanno più ragione d’essere. Città bombardate e ricostruite a caso non rivangano nel passato, lasciano direttamente spazio ai graticci di Quimper o di Vannes. Qui, la figura del produttore è sotto la tutela del tempo e della densità. Qui non si arriva per caso, non è un luogo turistico e non è un luogo di passaggio. La volontà è ripagata da subito.

Porto di Cancale.

Dodici ostriche, sei euro. Col privilegio di un piatto, di due forchettine e di tutto l’orizzonte disponibile. Sul gusto e le conseguenze percettibili non c’è molto da aggiungere. Mare.

Le maree, le ostriche, le cozze, i pescatori e la nebbia, che non si alza e non ci abbandona, sono quel contesto adatto ai Corsari e alla loro cucina. Sparizioni, mercantili e spezie. Cancale ha un motivo forte. Qui, Olivier Roellinger ha creato il suo impero. La storia straordinaria si è spezzata una notte a Saint Malo per poi ricrearsi secondo altre coordinate e in una via più riservata. Il castello, le stelle, la scuola di cucina corsara, il ristorante e la “drogheria” allargano il concetto di mare, attingendo da quello di esploratore e di “speziaro”. Come i torrefattori di caffè (un icastico Gianni Frasi su tutti…) erano soliti occuparsi anche del pepe, Roellinger ha deciso di celebrare le spezie che i “suoi” marinai riportavano dai loro viaggi. E così l’Epicerie è un’esplosione di colori e di aromi. Il mio naso è rimasto lì, tra alghe, pepe, vaniglia, senape, cardamomo, cannella e le alchimie più strabilianti. Dalla semplicità agli accoppiamenti più ammalianti, le spezie sono le radici della cucina orientale – di tutta quella basata sulla divisione concettuale dei piatti – e di tutta la cucina europea fino al XVII secolo (quando lasciarono spazio alle erbe aromatiche), sono la base dell’olfatto e di quello che ci è rimasto di caldo, di secco e di terroso. Terra e mare. Olivier Roellinger ha creato un luogo sensoriale dove lasciarci un pomeriggio. Dal Gardaland-Saint Michel all’horror vacui.

roellinger

Saint Malo è una cittadina pruriginosa, dove i tendoni da bagno, le spiagge immense, le maree e le mura riportano al pavido suono di un organetto e di un volto celiniano tirato fuori da un luna park degli anni ’30. Per caso, perchè lo cercavo altrove, ho incrociato uno dei negozi del burraio Jean Yves Bordier, colui che malassa il burro. Formaggi sbagliati, nella concezione della pasta e nella spiegazione alla vendita, burro straordinariamente diverso. Prescindendo da salature o meno, è un prodotto così vivo, così dentro al testo e protagonista della degustazione, da lasciare spiazzati.

Guardo l’orologio e mi rimetto in macchina. La mia vera destinazione è saltata, così trasformo una tappa nella meta e mai decisione fu più azzeccata.

Paimpol. Un porto di pescatori, tra il Canada e la Scozia, con quel crepuscolo che inizia la notte alle undici e quelle barche ormeggiate che non puzzano di abbronzatura ma di latrina. Spiagge ricavate dalla marea, squarci impareggiabili e un’atmosfera da giorno di festa nei libri di Simenon. Venti euro a testa per uno straordinario bancale di pesce al ristorante. Ostriche, granchi, cozze, gamberi e scampi. Un momento al di là del gusto.

Ennesima chambre d’hotes, ennesima gentilezza e ripartenza verso Roscoff. Borgo marinaro, costa di granito, case in pietra, finestre rosse, mercato d’ordinanza, una crepe e ripartenza. Lannilis, un posto dove non ci va nessuno, è lambita da un lungo fiordo che entra nella costa del Finisterre.

Qui, a Prat ar Coum, Monsieur Madec e la sua famiglia di ostricoltori allevano “le migliori ostriche al mondo”. Citazione ma comprovata. Huitres belon (o plate) e non le più comuni (ci sono per la verità anche quelle…) creuse (concave): subito dopo la parte iodata, arriva il dolce e la nocciola. Niente mutazioni e niente mistificazioni. I cromosomi rimangono quelli e la figlia di Yvon ci accompagna per le vasche che ridanno l’acqua salata degli abers e le case sparse sulla costa opposta. Ostriche, aragoste, granchi, gamberi. Gli allevamenti sono delle barche di pescatori che raccolgono, portano e aspettano la crescita. Il resto lo fanno le maree (che coprono e scoprono…) e l’abilità dell’allevatore. L’orario sbagliato non mi fa accomodare ma mi fa ripartire. Faccio cinquecento metri e mi trovo alla Chevrerie de l’Aber Benoit. Razza saanen, formaggi estremamente lattici, un filo cedevoli nella tessitura ma molto profondi, e Monsieur Abarnou, un personaggio istrionico. Nulla più.

Da lì Brest si materializza in poco tempo. Grandi aspettative, nonostante i bombardamenti. Il Querelle di Genet, i suoi marinai, i suoi porti, le sue atmosfere nebulose e straordinarie, che hanno generato l’immaginazione di un secolo di scrittori, figli e figliastri di bassifondi e bettole marinaresche, sono lontani. Un genio che ha lasciato una città priva di senso a cui rimane solo l’imponenza eolica del nome. Chiudo gli occhi e mi stringo deluso in mia moglie.

La penisola di Crozon, con le sue balle di fieno a ridosso dei porti e le sue coste frastagliate appena fuori da foreste lunari, non lascia scampo ai rimpianti. Così mi sveglio e mi metto alla ricerca del formaggio alle alghe. Ferme Kerdaniou a Plogonnec: tomme du nevet. Un ragazzo ispirato con inglese fluente e vacche Montbeliardes al pascolo. Latte crudo e alghe bretoni in aggiunta. Un gusto complesso vicino al brodo di pesce. Interessante ma senza urli.

Quimper e la meraviglia del suo mercato coperto. Centro storico annichilente, voglia di trasferimento e di fromagerie. La meraviglia di una passeggiata da trasformare in abitudine.

Pochi kilometri, sidro e succo di mele di Francois Sehedic. Consigliati ma abbastanza deludenti. Il “maestro” lavora in biologico con blend di frutta acerba che butta fuori tannini e poco aroma. 

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *