Champagne

Luglio. Vacche al pascolo. Pianura fastidiosa che inizia a lasciare spazio a qualche ondulazione. Vigneti messi a caso e odore di colza già tagliata. Una contea di passaggio, dove l’incanto di alcuni paesini estratti dai quadri di Guillaumin si alterna con rotonde nimesulidiche e sterminate strade senza orizzonte. In mezzo, quasi come orpello, appaiono le sue città più gloriose. Langres è magnificente nel suo splendore d’oro e assolutamente abbandonata a se stessa per la ricerca del formaggio eponimo. Nessun fermier e nessun piccolo caseificio. Consorzi e grosse produzioni. Ogni tanto, nelle vetrine, accanto a quella crosta lavata e arrossata di Rocou, tendente al molliccio e alla proteolisi spinta, appare la dicitura latte crudo. La rarità, però, è un assaggio che va provato…

La leggenda e la ricerca spingono il viaggiatore, o il casuale, o il viandante, o la prostituta a spingersi fino a Troyes. Dalla penna di Chretien sono nate le chansons de geste di Perceval e Lancillotto, dalle cattedrali il gotico contrasta con le case a graticcio. Straordinarie, uniche. Quello che rimane di un tempo dove una struttura era una condivisione di ricco e povero, di artigianato e borghesia. Il centro è un susseguirsi di immagini clericali e manufatti di Compagnons, di nuovo mondo e di antichità sepolta. Bastano delle semplici zeppe per scoprire un paesaggio segreto fatto di sotterranei vuoti, templari e misteri. Ma siccome Giacobbo puzza di umido, mi rivolgo ad una pasticceria.

Uno dei tanti “Meilleur ouvrier de France”, concorso per premiare le maestranze con lo scopo di “migliorare la formazione professionale, formare lo spirito corporativo, sviluppare il gusto e l’attaccamento dell’operaio al lavoro”, Pascal Caffet, mette in mostra occupazione e assenza, in una girandola di dolci poco più che mediocre. Niente da segnalare, tranne la classe delle vetrine e il rispetto per il viaggiatore…

Da detrattore ad estimatore della monoporzione, in una sola settimana…

Pausa caffè: le fragole più buone della mia vita. Stupidamente non ricordo l’azienda, stupidamente ricordo il mio stupore nel cercare albicocche e trovare frutti rossi, stupidamente ho mangiato una fragola “piena” e non mi rimangono che tracce… In una zona, quella dell’Aube, dedita alla coltivazione di legumi e della patata e al pascolo delle vacche, trovare una fragola del genere mi ha rissollevato dall’ennesimo contrasto (dolce-acido) cioccolato-lampone del pasticcere che, francamente, ha rotto i coglioni. Ne ho mangiate in tutto il viaggio ma come quelle coltivate tra Savieres e Fontaine Les Gres non ne troverò mai più…

Didatticamente mi risveglio ad Epernay, vedo l’ennesima route des vins e gli ennesimi stronzi con le facce da intenditori che degustano il vino, dandosi di gomito e acquistando casse di bottiglie per stupire l’amante del vicino di scrivania e dire quattro parole da riportare visivamente o letterariamente in qualche blog tipo www.ilsaperedeisapori.it. Così, vedo un sacco di produttori famosi e scatto foto alla Moet & Chandon, cercando la quantità, la storia e i numeri. Più affascinanti dell’ennesima solfa, che chiaramente non capirò mai, sulle bollicine biodinamiche…

Epernay è sulla mappa per un motivo. Vincent Dallet. Esimio pasticcere. Umiltà e moustache sognante. Bianco, ondulato, solo francese tra le corde. Pierre Hermè è più un manager che un pasticcere, i maestri del lievito madre sono in Italia, il cioccolato è Barry e i mignon mi hanno convinto. Il suo classico clafoutis è straordinario così come l’utilizzo della mandorla nella costruzione del dolce. Come mezzo e non come fine. Qui, come in tutto il viaggio. Piccoli frutti di martorana e mono-porzioni. Ancora loro. Garantiscono al viandante un assaggio proporzionato del pensiero e del dolce. Non impegnano e soddisfano. Hanno un senso. Quello che cercavo in Italia, mentre trovavo solo patina. Copieremo pure, ma è un bel lavoro da amanuense…

 

 

La ricerca si conclude a Reims (dove, nella cattedrale, l’accenno di un organo mi riporta a Nico e ai Tangerine Dream che, in una notte d’inverno, hanno dato fuoco all’incenso e al senso…) da Chrisophe Zunic, uno dei grandi panificatori francesi, uno di quelli che ha il negozio tra un H&M e uno Zara ma non ne sente il peso. La modernità flirta con il vintage e il primitivo. Lui non è presente e il suo pane neppure. Annuso da una saracinesca la possibilità di qualcun altro e riparto…

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