Com’era e come dovrebbe essere… Luciano Pigorini

Viustino. Frazione di San Giorgio Piacentino. Casa patronale immersa nella campagna emiliana che rilascia echi dei primi film di Pupi Avati e di grandi tavolate imbandite per il pranzo domenicale.
Polli, fagiani, oche ed anatre ruspano nella propria libertà vigilata e si nutrono “senza stress e con alimenti naturali”.
Ci accoglie Nadia, scusandosi della mancanza di Luciano, via per motivi famigliari.
La sua assenza ha il volto del racconto della sua compagna. Che ha qualcosa di kafkiano, forse lo sguardo dell’agrimensore K. alla ricerca di una direzione da dare a quelle  “dislessie” burocratiche e produttive, così profondamente radicate in quelle zone di quote latte, di quote frutta, di sfruttamento agricolo e agricoltura intensiva.
Luciano ha cercato la qualità al di là di tutto ciò. Al di là della nebbia e della noia che fermano gli arti e imbolsiscono gli animi. Al di là della pianura che non rilascia un orizzonte dove riflettere e un orizzonte dove sognare. Al di là del suo passato di venditore, di dirigente e di agente. Al di là della difficoltà che una carne come quella del pollo ha di entrare nell’immaginario gourmet.
E anche al di là delle cacce alle streghe, dell’aviaria, della svalutazione mediatica e industriale e dei divieti che gli “illuminati” hanno imposto all’avicoltura, attraverso decreti e leggi che impediscono di tenere le anatre insieme alle oche e insieme ai piccioni e che vietano alla stessa azienda di fare più cose insieme: nascita, incubazione, svezzamento e allevamento. Ma soprattutto, al di là della difficoltà di proporre prezzi così diversi per una carne così diversa.
Al di là di tutto questo, Luciano Pigorini e Nadia Albertelli hanno cercato di trovare un futuro che assomigliasse maggiormente ad un passato fatto di “domeniche conviviali in cucina, al calore della stufa… pietanze con veri sapori… e un cromatismo di gesti, profumi, colori, consistenze…”. Hanno ridato al cortile il fascino antico di tovaglie a fiori, pantaloni a sbuffo, animali meno coccolati, silenzi intorno al capo famiglia, terra acre, alberi quieti, gilet senza abbottonatura con il collo a V e piatti ovali di porcellana locale.
Senza che la poesia e la bellezza facessero dimenticare a Luciano l’obiettivo dell’azienda: “la terra al servizio dell’eccellenza gastronomica italiana”. E così è stato.
Da Gualtiero Marchesi a Nadia Santini, da Enrico Crippa fino a Filippo Chiappini Dattilo (e alla sua tata, che, a metà strada, tra la storia e la leggenda, oltre a consigliare e criticare i piatti del grande Chef piacentino, ha fatto da trait d’union tra lui e Luciano…) gli hanno permesso di corroborare quella serata (… passata con amici, tra i ricordi di quando il pollo aveva un altro sapore ed era l’oggetto del desiderio… l’immagine dell’acquolina in bocca) e quella nottata svegliata da una decisione rivoluzionaria. Galli, galline, capponi e gallustri. L’alta ristorazione avrebbe capito e la clientela l’avrebbe seguita. E pollo fu.
E anche quando l’aviaria ha provato a distruggere il sogno, l’abilità del grande commerciale lo ha portato a bussare alla porta di un direttore di un importante quotidiano  con un pollo perniciato in mano, invitandolo, senza la possibilità del rifiuto, all’assaggio e portando la comunicazione nell’unica direzione che avrebbe dovuto prendere: la bontà.
E poi si è ricreato il suo mondo di nomi e certezze che rassicurino il cliente, sempre alla ricerca di etichette e di definizioni.

Quindi, oltre al pollo perniciato (cento giorni di maturazione, carni magre e toniche, adatto per umidi, il maschio e per arrosti, la femmina, di una sapidità e di un’intensità straordinaria, al palato il sapore dell’incanto), ecco il cappone perniciato (180 giorni di maturazione che gli permettono tutta la delicatezza della tipicità…), il pollo passerino (di piccole dimensioni, straordinario cucinato alla diavola, rosa, morbido, alla bocca intenso e pieno di ricordi…). E poi l’anatra, regalatami dallo chef Pio (personaggio a metà strada tra la maniera e la tradizione, umile, interessato e dedito al sapore), cucinata roast duck e fatta con una salsa vinaigrette (balsamico tradizionale di oltre cinquant’anni, senape e olio) in modo da stemperare, ma con educazione, quel selvatico così raro e così buono di una carne decisa e unica.

Nadia illustra, disegna, racconta, soffre (come quando ci parla del progetto, improntato sulle mense scolastiche, che li ha “costretti” ad allevare razze di pollo poco interessanti e più commercali e che potrebbe essere una delle possibilità che il ricordo rimanga il presente e non il sospiro ferale “Quando andavamo da Viustino…”) e ci mostra le stanze dedicate all’agriturismo. Camino che diventa un cantuccio dove riposare lo sguardo e lasciarlo perdere, quadri e rifiniture di pregio. Niente sedie impagliate male, niente tovaglie a quadri, ma raffinatezza estetica e concretezza in cucina. Una cantina, dove invecchiare salumi e vini, calda e avvolgente. Nessuna velleità gastronomica, nessuna maniera o smanceria, ma solo rapporto umano e terroso.
Luciano e Nadia hanno compreso che i luoghi possono vivere solo di riflesso al carattere e che le stagioni determinano gli umori e determinano i gusti perchè “chi controlla il presente, controlla il passato e chi controlla il passato, controlla il futuro”. E questa è una storia di preconizzatori e azzardi poetici…

AZIENDA AVICOLA VIUSTINO 65
LOC. VIUSTINO, 65
SAN GIORGIO PIACENTINO (PC)

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