Comunicazione e territorio… Francesco Vastola

Capaccio-Paestum. Una strada che porta verso verso la costa, qualche retaggio della pianura del Sele e della sua industriosità, i caseifici bufalini, che hanno l’ardore e l’irriverenza del fungo, appariscenti e tediosamente ripetitivi sulle Battipaglia-Capaccio, sentori di mare ed erba bagnata tutt’intorno, ma soprattutto una Campania che non t’aspetti. L’oggettività della ragione e dell’interesse è riuscita ad enucleare Paestum all’interno di quel lembo di terra definibile come Cilento. Le qualità organolettiche e topografiche suggerirebbero altro, ma tant’è stato. Gli scavi sono a cinque kilometri, così come i turisti, ma la zona non emana il fascino della Magna Grecia e nemmeno la filosofia intimista dell’ecosostenibilità, eccezion fatta per alcure rare circostanze e alcune rare concordanze. Qualche Tenuta dove la bufala si erge ad alfiere della nobiltà del meridione e questo posto, equidistante sia dallo stupore che dall’apparenza, in una via (Tempa di Lepre) dal nome connotativo, che non brilla per raffinatezza estetica quanto per legame con la terra.

Qui i prodotti parlano molto di più e molto prima di qualunque chiacchiera e di qualunque conoscenza.

Il mediatore non mi abbandona. La pioggia inizia a scendere copiosa. Strade e luci non aiutano la convivialità e nemmeno il magazzino d’ingresso. Ma gli orpelli non si accompagnano bene al lavoro. Gennaio, ad eccezione della fertilità e del legno bruciato, è un mese sbagliato per tante cose, figurarsi per la coltivazione di frutta e ortaggi. La produzione è praticamente esaurita. Il Salone del Gusto si è portato via i luoghi comuni sulla reale utilità di esserci (anche nelle lavorazioni artigianali, è tutto commisurato alle capacità che la comunicazione richiede… l’investimento ha un senso, se prima c’è un investimento sulla propria volontà di investire…) e ha portato alla vittima della mia penna/spada, Francesco Vastola, venti nuovi clienti. La bontà non basta a se stessa.

Maida, uno dei due rami d’azienda, arriva lontano, arriva a quel cliente gourmet da sparring partner domenicale, con la sciarpa marroncina, lo chef senza cognome sempre in tasca, e il tonno di passo come unico dio, arriva attraverso il packaging, il colore e l’estetica del prodotto.

Francesco, parlata demodè, onesta e riluttante all’etichetta, è rimasto sospeso. Il suo essere contadino, fatto di biologico, di olio franto, di laboratorio lavorato, di poco suadente serata con la pioggia, finanche di maniche alzate e braccia prone, ha nello stupefacente risultato finale (i vasetti in bella mostra sulle scaffalature delle botteghe e nei menù di alcuni stellati campani… ndr) un’antitesi scioccante. Le forme sinuose di vetro traslucido, le bottiglie stilizzate per le salse di pomodoro, i contenitori di cartone disegnato e l’unicità dei modelli creano fiducia, seduzione e inganno a priori, anche dove l’assaggio non è ancora passato. A parità di eccellenza, decide l’aspettativa.

Francesco lavora la terra, è arrivato attraverso i carciofini e, adesso, intraprende attraverso i sott’oli, le creme, le confetture e le passate di pomodoro, quelle che, con mia enorme sorpresa, consegna da quasi dieci anni alla famiglia Iaccarino… Oltre cinquanta prodotti, molti a kilometro casa sua, altri recuperati da agricoltori della zona.

Dalle creme più innovative, tipo olive al cacao (delicata e piccante insieme. Unico appunto, andrebbe specificato in etichetta il cacao utilizzato…), a quelle territoriali, cipolle ramate, carciofi o pomodori verdi, dalle conserve oriental-mediterranee (zenzero insieme con agrumi e cipolle allontanano dal Sele, trovando abbinamenti dolci e pungenti, ma ci rientrano con l’acidità finale…) alle marmellate: fichi bianchi cilentani (senza aggiunta di pectina, lavorati bene, senza dietrologie sui lavori delle nonne o delle mamme, senza quel pentolone casalingo dove tutto è concesso, ma con una sapienza tecnica inaspettata… sapore eccellente, sulla fetta di pane, non si disgrega… direi che basta), cipolle ramate di Montoro e pomodori gialli (un filo dolci da sole, ottime sul pane), peperoncino (facile ma casearia…) e albicocche.

Le lavorazioni più interessanti di Francesco sono le salse (una passata di pomodoro giallo, su tutte, dove la storia, l’incontro con amici e cantori, il viaggio e l’esperienza hanno trasformato l’acidità in connubio…) e i sott’oli (fagiolini, broccoli friarelli, cipollotti grigliati, pomodorini in tutte le salse ecc…). Menzione speciale va ai carciofini, forse l’estrema propaggine della sua vanità e della sua notorietà. Belli, territoriali e abbinabili.

La raffinatezza di Francesco e dei suoi prodotti corrispondono all’umiltà di uno sguardo che, per tutto il tempo della mia visita, non ha mai interrogato. Anzi, la prova, l’interrogazione e l’esame sono rimasti quel vuoto incompensabile dalla bravura e dall’arroganza. Studente della lavorazione, Francesco soddisfa occhi e palati, contadini e manager, senza la cravatta turchese o il collo allampadato, ma con l’estetica della comunicazione, l’unico linguaggio fruibile dal becero soldo e dall’incuria gastronomica contemporanea…

 

AZIENDA AGRICOLA FRANCESCO VASTOLA – MAIDA

VIA TEMPA DI LEPRE

CAPACCIO – PAESTUM (SA)

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