E’ rimasto solo lui… Silvio Pistone

Borgomale. Piccolo borgo dell’Alta Langa. Strada sterrata senza insegna, perchè la bacchetta l’ha lasciata ad altri… rimane solo una mostrazione di pudica bellezza.
Ex piastrellista, attività portata avanti fino a metà anni ’90, Silvio ha disegnato la sua casa, la sua cascina, il suo giardino e la sua foresteria per gli ospiti. Una cucina in muratura che toglie il fiato per la precisione estetica degli elementi. Non uno di troppo, ma questo è facile, e nemmeno uno dissonante, questo è già più difficile.
Un completamento per la vista che termina la sua panoramica su una tavola imbandita… che, sfortunatamente, è servita a poco. 
Il salotto, gioco forza, è un insieme cromatico di quadri (tra cui alcuni dipinti da lui) e materiali di corredo. Piccola porta di vetro… tavolo in legno con sopra due tipi di pane, il suo e quello di Eugenio Pol, a cui aggiungo quello di Davide Longoni… alla destra un piccolo mulino a pietra per l’ormai prossima molitura dei cereali coltivati direttamente, alla sinistra un forno a legna, sempre in muratura, per la cottura di pani e pizze.
Piccola porta ed eccoci all’ancora più piccolo caseificio. Assi in legno, un paio di frigoriferi, una sorta di piccola fossa per le sue fantasie affinatorie e un unico (ad eccezione di esperimenti e rarissimi pecorini) formaggio con le sue varie stagionature. Alla fine dell’ultimo muro, cè Silvio Pistone, un uomo la cui serenità mi ha persuaso e mi ha trafitto, a tal punto da riuscire a diradare quella minuscola particella di oblio che avrei voluto ad ogni costo trattenere. Mi ha svegliato mentre  il sonno, che sbatteva sulle palpebre, mostrava tutto più rarefatto…
Una moglie, due figli maschi e una trentina di pecore delle Langhe che non ha intenzione di aumentare e nemmeno di ibridare. Un maestro, un “contadino della zona” come lo definisce lui, che gli ha insegnato a portare fuori quel formaggio prodotto sul tavolo di casa, attraverso la tecnica, il segreto e la tradizione. Qualcosa che si tramanda, da famiglia a famiglia, senza tecnologia ma solo col sapore.
Le prove sono diventate delle certezze. I clienti sono dovuti scendere per accorgersi della grandezza. Poi ci sono quelli che vogliono gli assaggi gratis, solo perchè ti possono far conoscere… e si sa, se il nome di un pastore gira…
Le tv e soprattutto le agenzie di viaggio sono arrivate lo stesso. Qui, in un posto senza insegna, inetto alla vendita e alla clientela (anche se a breve lascerà questa cascina, per costruirne una più grande e più rivoluzionaria qualche centinaio di metri più sopra…), Silvio sta cercando di vivere, facendo l’agricoltore, il contadino, l’allevatore e il casaro.
In una parola sola, l’autarchico. Cereali (ha rimesso a nuovo una macchina agricola, forse degli anni ’30, per lavorare il granoturco…), ortaggi, latte, carne e formaggi, tutti provenienti da filiera corta… dalla stalla alla cucina, dal giardino alla cucina e dalla casera alla cucina. Chissà… magari non ha più voglia di muoversi per incontrare loschi figurini che lo invitano all’associazione (Murazzano dop ecc…) e al pagamento dilazionato…
I metodi sono quelli della nebbia che sottende e nasconde. Questa stalla al primo piano, con uscita diretta sui pascoli è divisa in due parti: da un lato le pecore incinte, dall’altro quelle che hanno iniziato a produrre latte. Una struttura in legno dove inserire l’animale per la mungitura manuale… tanto fieno, estrema pulizia, a partire dalle mani (l’unico viatico alla purezza del latte crudo) e una lavorazione che rapprende all’interno del formaggio quell’unica forza possibile e selvatica che solo la pecora può dare. Quel gusto che non può ingannare e che non ha bisogno di affinamenti strani. Nessuna aggiunta, né all’interno né sulla superficie. Latte intero, portato a 36 gradi circa, caglio prevalentemente di vitello, doppia mungitura e una duplice possibile coagulazione: di sei ore e di dodici ore.

– L’aroma, a formaggio fresco, è una manciata di erbe e fiori con una colatura di latte che impregna e regala un’emozione, una sola, ben definita, con dei contorni ma senza rimandi. Qualcosa che rimane lì, che mi fa dimenticare con chi stavo parlando e chi c’era in quella stanza. Liquido, sale e bianco… poi, come uscito dal coma, ho rivisto le facce degli amici. Riassaggiato a casa: eccezionale.
Poi ci sono le varie stagionature che lui ottiene in modi sempre subalterni alla rarità di quel sapore di latte. In ambienti naturali, con temperature e umidità controllate, all’interno di campane di terracotta (uno dei segreti del suo maestro che lui ha preso e rivoluzionato per sintetizzare due mondi), all’interno di piccole fosse dove le tume vengono ricoperte e nelle burnìe, piccoli vasi di vetro, dove Silvio mette solitamente le formaggette di fine estate, ricche di pascolo e di possibilità di stagionatura.

  – La toma in burnìa rapisce il mio interesse e il mio orgoglio. Mi blocco, non conosco i metodi, la mia preoccupazione è la rifermentazione che può andare a corrompere la dolcezza, avanzando in piccantezza. Nulla. Silvio me le fa provare con due diverse coagulazioni, a sei e a dodici ore. La prima divelte le mie sicurezze, non lascia niente alla perplessità e traspare in un sorriso inebetito e ruminante riflesso negli occhi di Silvio che mi guarda compiaciuto. Dolce e piccante insieme ma con sentori puliti e una retrolfazione lugubre ed espressiva, come se ci fosse un fienile all’interno dell’anima di cui non puoi più fare a meno. 

  – Infine c’è la giuncà, qualcosa che sembra una ricotta, ma che non la ricorda, che ha il cinismo del deuteragonista ma la malleabilità di una crema. Mi sforzo, ma sono sveglio…

Abbiamo trovato una stanza comunicativa irremovibile. Ciò che la rende salda sono i valori che condivido con quest’uomo, conosciuto nel frammezzo di un grand guignol di improvvisazioni, arrivi, cambi di programma e tavole apparecchiate… unico grande assente il sangue. Forse ci legherà il bello, forse la passeggiata fatta tra le pecore, parlando di come è e non di come dovrebbe essere…

CASCINA PISTONE
VIA ALBA BORGOMALE
BORGOMALE (CN)

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