Fenomenologia dell’imprenditore agricolo lombardo… Alberto Dedè

Borghetto Lodigiano. Una delle tante frazioni di un territorio con un’identità e una cadenza accentuate. Brume e cascine si alternano, lasciando spazio ad orizzonti spettrali, fatti di lande senza orizzonte, di terra rivoltata, di strade che non conducono a nulla e di anime contadine con la gonna sotto il ginocchio, le calze in nylon beige, i pantaloni di fustagno e la faccia scolpita dal freddo, dentro e fuori le mura.

La provincia di Lodi è quel far west padano dove il muovere le foglie è considerato un’impudenza, dove tutto scorre perchè deve scorrere e dove il buio invernale è rappresentato da calcinacci attornianti una finestra illuminata in giallo, alle sette di sera con il riverbero di una pasta e fagioli fumante. Lontano dal dialogo e dalla comunicazione, con quella semplicità ormai privata, totalmente, del fascino e della poesia, con quei fiumi che effondono condensa, creando già l’immagine di mattina presto e sole appena levato.

In uno di questi antri, invisi al turismo quanto al quotidiano, lavora, produce, lavora e produce la famiglia Dedè.

L’impatto con i dipendenti dell’azienda è antitetico alle aspettative. Gentili, ancorchè rappresi da deferenza e mancanza di fascinazione alla vendita e alla conoscenza. Non sono atteso, ma qui la solerzia verso l’intimo e verso la notorietà si raffredda presto. Alberto Dedè arriva un quarto d’ora dopo. Clienti o fornitori dovevano terminare i loro affari.

Le domande postemi non sono mai divulgative o coercitive ma è come se rimanessero sospettose. Barba e occhiali, sciatteria spinta da ore di macchina e tono scanzonato non lo riportano sulla retta via. Ma decide lo stesso di sedersi. Il Dottore, come lo chiamano i suoi dipendenti, ha l’aria di Ebenezer Scrooge (o del signor Burns) e anche la sua postura, se ne avesse una. Allampanato dalla parlata svelta e autoritaria, come quegli industriali anni ’70, con il dolcevita marron-glacè, il cappotto di cammello e i pantaloni grigi. Gli interventi, sotto forma di rilancio e nuova domanda, sono accettati, le risposte o le considerazioni un po’ meno. Da vedere è rimasto poco. Cena alle 20,30/21,00, riposino fino alle 2,30, sveglia per osservare l’apertura delle danze “mungenti”, ritorno a letto e sveglia definitiva intorno alle sette. Caseificio, allevamento, pratiche amministrative e commerciali e poi di nuovo cena. Il Dottor Dedè mi racconta di questa palingenesi quotidiana che lo porta allo sfinimento. La passione è basilare.

Tira fuori delle stampe del secolo scorso, o di quello prima ancora. Medioevo. I monaci, cistercensi e benedettini, dopo aver bonificato le paludi e disboscato le selve, crearono una straordinaria rete di canalizzazione che permise l’inizio dell’allevamento di bovini e delle colture foraggere. Dal burro al grana: il primo, elemento principale e pregiato, il secondo, scarto da stagionare. Affioramento della panna e conseguente magrezza del formaggio rimasto… Prove di affinamento. Medio, lungo, lunghissimo. Ecco il Granone Lodigiano, il capostipite dei formaggi grana. Niene Padano, niente Parmigiano Reggiano, Alexander Dumas cesella bene il concetto: “nonostante la denominazione corrente (parmigiano ndr), questo formaggio non lo si fabbrica affatto a Parma, ma a Lodi e nei dintorni”.

Il granone diventa Tipico Lodigiano (perchè il nome grana è proprietà del Padano…), cariche batteriche, strumenti di lavorazione e foraggi cambiano a causa del tempo che passa. Resta il rame e scompare il legno. Due mungiture parzialmente scremate, lacrime del siero, pasta cotta e lunga stagionatura. Sotto l’anno, quando le forme (molte a causa di gonfiori tardivi del grana, spesso causati dall’utilizzo d’insilati…), al primo taglio, presentano dei difetti, vengono servite con il metodo della raspadura (scenico ma poco profondo o coinvolgente… contadino ma anacronistico…). Dai 18-20 mesi in su si fregiano della tipicità. Tre anni è un formaggio granuloso, straordinario alla masticazione e assolutamente saturo di sapori. Il cinque anni, e qui Alberto dà sfogo slla sua vanità, li mette, a sentir lui, tutti in fila. Esagerazione a parte, è qualcosa di così raro che il rispetto lo demarca come indefinibile. Invecchia in altra maniera rispetto a tutti gli altri grana. È più chiaro, meno saporito, con un retrogusto lunghissimo.

Alberto Dedè, tronfio del suo prodotto e della sua azienda, è un uomo indaffarato, anche nell’approccio. Quindi decido di non lasciare scampo ad un’affezione e fuggo con la bocca piena… In lontananza, mi piacerebbe che continuasse a fare il formaggio che fa, ma senza empatia, in silenzio e senza amici in comune…

 

CASEIFICIO DEDE’

PROPIO 2

BORGHETTO LODIGIANO (LO)

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