Il futuro della fassona nel Piemonte che verrà. Luca Gandione e Silvio Brarda

Cavour. Nelle estreme propaggini del torinese, ma non ancora nella provincia Granda, con le montagne tutt’intorno, ampie pianure che si aprono su meleti antichi e strettamente territoriali. Non è questione di bellezza e nemmeno di fascino, ma questo paese, così storicamente determinato, ha un impatto sonnolento e mite. Le fronde, con il loro stormire, e gli uccelli, con i loro cinguettii, ne determinano l’accoglienza. La rocca lo protegge e le strade prendono il nome dalla località verso cui sono dirette.
In una piccola traversa di una di queste, si nasconde, in una villetta contemporanea e anonima, la Macelleria Brarda. Il regno di Silvio Brarda e Luca Gandione.
Quel trait d’union, a Luca così caro (perchè le sue soddisfazioni che diventano il dormiveglia del suo sonno razionale hanno il sorriso delle persone che assaggiano e consigliano, delle chiamate dal contado parmense o dalla periferia dell’impero, che hanno incrociato per caso la loro carne e che ora sono disposti ad andarla a ritirare a 30 km di distanza o a condividere le spese di trasporto…), ha le sembianze di uno chef che, facendo lo chef in questa Italietta determinata dai figli putativi di Longino e dell’Angus Beef, non può che essere in perenne tormento e in continua ricerca: Daniele Lunghi. Un ragazzo, poco oltre i trenta, che ha scelto di dare una faccia ai prodotti che utilizza. E così scoprirsi diventa più semplice.
Una battuta di fassone di solo anteriore, preparata dallo chef in questione, mi ha chiamato alla domanda. Risposta convinta. Passa qualche settimana e Luca Gandione è costretto a danzare. E se la cava… anche se non è la cosa che preferisce fare e me ne accorgo quando inizia a maneggiare la carne…sottraendo fiato alle parole…
Toglie tempo alla sua pausa pranzo, Luca. Me ne scuso, ma penetro tra le stanze di frollatura. Freddo, ma secondo lui è il contrasto rispetto alla temperatura dell’esterno. A me sembra ci sia qualche grado in meno rispetto alla normale cella. Ma non ne riscontro un clima pulp, anzi, mi sembra tutto molto accurato… femminile… o quasi metodico…ma Luca si scusa lo stesso del disordine… I quarti sono asciutti (sull’alimentazione il controllo è massimo ancorchè ci sia sempre qualche allevatore che tenti o abbia tentato di fare il furbo…) e molto grandi. Il bue è di casa e anche la tonnellata…
Prima della cella c’è solo la fiducia, da lì parte il lavoro di Silvio e Luca, due macellai  che continuano a non sottomettersi al gusto comune.
La sensibilizzazione sulla carne non parte esclusivamente dall’alimentazione e dalla frollatura, argomenti mai domi e sempre attuali, ma ogni tanto abusati (rubo su questo una frase di Luca che, nella sua forzatura ideologica, esprime bene il concetto: “Io coltivo l’orto – passione che lo accomuna a Silvio -, seguendo i dettami del biologico, quello di fianco a me, invece, utilizza i diserbanti. Arriva una tormenta di vento e tutte le mie attenzioni vanno a donne di facili costumi…”), che sono secondari alla loro idea di macellazione: l’animale ha dignità solo nella sua interezza. E così arrivano tagli rari, parti dell’animale dimenticate, cotture impervie ma territoriali…

Il tenerone, il muscolo di coscia o la scaramella (quest’ultimo bollito e accompagnato al suo grasso è qualcosa che toglie dalle finestre la primavera, i fiori e le gonne svolazzanti per rimettere addosso il paltò, il cappello di lana e lo scarponcino anti gelo… riporta l’inverno e la tenerezza… sopraffino…), il reale (molto fascinoso per la sua doppia personalità: un giorno ha bisogno di tempo e di lunghe cotture, quello dopo ha un desiderio di padella e reazione di Maillard…), la tradizione, il sudore e quel territorio che Silvio ha difeso e ha salvato.

Non era zona di Piemontese quel lembo della provincia di Torino,. Negli anni ’70 non c’erano macellai e allevatori interessati alla bontà. Lui ha resistito, ha collaborato e ha difeso la sua terra. Così ha dato vita al suo progetto. Agli albori del nuovo millennio, la fatica, la mancanza di prospettive e di futuro lo hanno messo all’angolo. Sul crepuscolo, il genero Luca si lega a doppio filo. Amore e lavoro… e così la perdita di capelli diventa due guance arrossate, una laurea in economia e un’altra sveglia alle cinque di mattina…
Luca con i suoi salumi
(tra cui un salame di bue al barbera, buono ma senza particolari lasciti e un bue affumicato da strabuzzare gli occhi per gli odori e le persistenze che riesce a raggiungere… veramente straordinario), la sua gastronomia (se i ravioli potessero parlare…)
e i suoi tagli, potrebbe incantare, invece ha deciso di comunicare… e lo fa anche senza parole… mettendo il lavoro davanti a qualunque chiacchiera, anche la più soave… ma proprio per questo si può passare oltre, assaggiare e ritornare…

MACELLERIA BRARDA
VIA AMEDEO PEYRON, 28
CAVOUR (TO)

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