Il Morlacco e il Grappa abbisognano di tempo… Ivan Andreatta

Malga Gasparini. Lontano dall’abitato di Solagna. Estreme propaggini del vicentino. In mezzo a quella che è la storia della resistenza italiana. In una di quelle vallate che guardano il Monte Grappa, che nascondono ossari, trincee, pullman turistici e campi estivi.  Molta mediocrità tutt’intorno. Ristoranti un tanto al kilo, birrerie ben posizionate sui crinali acchiappa-turisti-in-cerca-di-una-vista-mozzafiato e alpini engagèe anacronistici che invocano l’etica di una terra e di un sotto terra per cui hanno scavato, creando una nazione… Tutto ciò è un’immagine di salita. Quella che parte dall’abitato di Solagna e percorre buona parte dell’ascesa al Grappa. Quella che lascia l’asfalto e procede sullo sterrato. Un paio di kilometri. Abitazioni e strade scompaiono. Nei punti giusti, quelli non invasi dal traffico domenicale dei classici “vicini di casa”, rimangono solo abeti, vacche al pascolo, margherite con steli lunghi quasi mezzo metro e anfratti sinuosi verso cui rivolgersi, attraverso l’ipocrisia-fascinosa del “come sarebbe la vita qui?”.
Ecco. La famiglia Andreatta-Gasparini, mamma Giuliana e figli Omar e Ivan, lo sa bene. Loro hanno smesso di tornare in pianura. Anche l’inverno è un soliloquio di forni a legna, formaggi e solchi nella neve. In mezzo alla vallata, dove un televisore (per cui i pollici sono un’unità di misura troppo grande per codificarlo…) appare come un compagno nelle lunghe serate dicembrine e dove, forse, a breve, potrà arrivare anche internet. Quello che non manca, sicuramente, è il sorriso di Ivan, l’ironia di Omar e l’istinto di sopravvivenza nella vendita del proprio prodotto, ad una clientela a cui servirebbe l’ennesima lapide.
Diceva Frank Zappa: “I critici musicali sono persone che non sanno scrivere che intervistano persone che non sanno parlare per un pubblico che non sa leggere”. E aveva ragione. Ma la parola è sopravvalutata quando si parla di cibo. Quindi i produttori (musicisti) sono salvi. I critici gastronomici (e mi ci metto dentro, anche oltre lo schifo) sono al massimo buoni biografi. Il pubblico è un’accozzaglia di macchine fotografiche e vestiti male assortiti. Ma “c’hanno” il grano. E quindi “Avanti Savoia!”, il circo può continuare…
… ed è continuato veramente. Ad un certo punto, su quella che potrebbe essere scambiata, tranquillamente (soprattutto da un medio cittadino metropolitano). per una mulattiera, è spuntato un pullman. Il mio stupore si è trasformato in ansia. In fuga dalla folla, mi ci ritrovo dentro. Gente in coda allo spaccio e gente che beve vino e deliba da degustazioni improvvisate. “Bisogna pur campare”. E Omar ha ragione. Aspettiamo una mezz’ora che gli avventurieri abbiano occluso la loro persuasione verso il formaggio e verso il dialogo meteorologico. La montagna torna montagna. La solitudine anche e si può ricominciare ad ammirare il focolar. Nel mentre si è svolta la nostra conversazione e il nostro viaggio all’interno della vacca Burlina e dei formaggi del Grappa.
Il Morlacco lo inseguivo da molto. Tanti pastorizzatori e caseifici di pianura avevano provato a portarmi via la poesia. Ma un assaggio mi aveva convinto. Proteolisi della crosta. Lunga stagionatura e mantecazione della pasta. Caratteristiche ormai rare. Le dovevo ritrovare.
Ivan lo nasconde. Le sue celle, molto umide, sono ricolme di forme giovani. “I clienti vogliono questo. E a me francamente va bene così”. Il fratello Omar, che reiterava tra le stanze nell’attesa che suo fratello tornasse, prova ad indicarci alcune forme. Ma io e i miei due compagni di viaggio, Riccardo Antoniolo e Giovanni Scapin (ristoratore, chef, colto, dialettale, sanguigno, scopritore di tradizioni e cercatore di bontà – come alcune lumache non di allevamento, cucinate con le biete, di stordente completezza – , nostra guida, ponte comunicativo coi malgari, attraverso conoscenze, millantate o reali, che nemmeno nella Sicilia più arcaica, impaziente compulsivo nella sua ricerca di una “forma piccola” e straordinario caratterista), non siamo persuasi. Nell’attesa di Ivan e del suo dovere conviviale, Omar ci illustra ma non ci convince. Gli assaggi del fresco sono ottimi, ancorchè troppo acidi, ma rilasciano solo la potenzialità di un fenomeno.
Ivan ci soddisfa. Ci fa aspettare. Esce dalla stanza e torna con una nuova forma.
Riccardo ride e sospira. Ivan inizia a tagliare.

La crosta inizia a creparsi, la pasta a sciogliersi e la proteolisi a scavare. Non ci siamo ancora del tutto, ma il sapore mi devasta. Sarà stata l’attesa, la crescita dell’attesa, la disillusione dell’attesa e l’esclamazione di Riccardo. Ma il colore arancione, la crosta spezzata, i bordi che iniziano a mantecarsi, l’umidità e la succolenza delle occhiature (che ad Ivan “piacciono” – sebbene siano un chiaro difetto di fermentazione  – perchè sono la derivazione della cagliata rotta in maniera difforme, attraverso un “piatto”…) che fanno sudare il giallo paglierino, danno una svolta al mio palato. Profumo intenso (ma non la “puzza” dei tre mesi di stagionatura) e note di fieno corroborano il tutto…
… realizzato, decido di dedicarmi anche al Bastardo (sapore intenso, con una crosta “cantinata” molto suadente) e al Burlino. Ecco. Illuminazione. Non mi aspetto nulla. Il formaggio che prende il nome dalla vacca e quindi dalla tradizione, dal recupero e dalla difesa, mi lascia interdetto. Sarà pure oltre modo intenso, ma il gusto di banana piccante, che esplode al palato, trova l’euforia e la riconduce in macchina su su fino al ricordo di una giornata memorabile.

I saluti di Ivan sono un racconto a sé. Bacia mia moglie, ironizzando sulla gelosia, fa la conoscenza con le referenze e si schermisce nella deferenza, stacca gli scontrini che vuole lui, eccepisce sui metodi di conservazione sotto vuoto ma sia adegua, ci mostra gli “affreschi” stupendi sul camino e ci ragguaglia sul fatto che lui non produce ricotta ma “Puina” (sinonimo veneto). Compagni straniti: “Quindi ricotta?”. “No, quella la fanno in pianura. Noi facciamo la puina”. Sorriso che diventa risata gustosa e “badili al posto delle mani” che fendono l’aria nei saluti. Così ce ne andiamo, ma è come fosse una corrosione di momenti definiti, non dal tempo né dai luoghi ma dalle persone di una giornata fuori dallo script…

MALGA GASPARINI
VIA CAMPO DE ROA, 4
SOLAGNA (VI)

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