Il tocco del pasticciere. Luigi Biasetto

Padova. Domenica. Clima perfetto per entrare in una pasticceria. Autunno inoltrato, non particolarmente caldo, cielo coperto ma senza pioggia. Ecco la gioia di un locale pieno.
Ci accoglie Sandra, la moglie di Luigi e ci chiede gentilmente di aspettare il marito. Non ci lascia a noi stessi, ma ci accompagna in un’ora e mezzo di discussione su tutto, attraverso l’assaggio dei suoi prodotti.
Mi racconta del suo amore verso la Sicilia, dei suoi dolci prediletti, della storia di Luigi, dai primi passi mossi in Belgio fino all’arrivo in Italia e ci racconta, ma questo solamente attraverso i suoi modi, la capacità di fare alta gastronomia, attraverso l’accoglienza, la gentilezza, le buone maniere e lo sguardo vigile su quello che è uno degli atelier dolciari più importanti del mondo.
Luigi non fa in tempo ad arrivare che è già vittima delle nostre domande. Quello che mi colpisce è la pacatezza delle sue risposte, sempre in grado di centrare il punto, senza un concetto fuori luogo o un vanto di troppo.
Ha una comunicazione suadente, senza orpelli, senza libri, senza la pomposità a volte viziosa della creazione. Se dovessi trovargli una vocazione, lo metterei nel girone, poetico e pacifico, dei risolutori di problemi. “Come quella volta che, in una grande industria dolciaria milanese, ho risolto il problema delle meringhe in un’ora…”, così è oggi. Una persona senza consigli sul mondo o sulla filosofia heideggeriana (tranne che per qualche citazione sparsa nel banco delle longcake), ma che, attraverso poche e mirate inflessioni delle mani, è in grado di regalarti un mondo, il più simile al paradiso.
La conversazione scivola attraverso gli argomenti tipici: l’affare Sette Veli con le sue diffide, Iginio Massari, uno dei suoi maestri (anche se non ho visto del necessario nel suo sguardo…), le prima esperienze in Belgio, Pierre Hermè suo compagno di viaggio, lo stato della pasticceria e la mancanza di regole delle nuove generazioni e il suo laboratorio (che attraverso le parole di altri grandi pasticceri mi è stato descritto come il migliore tra quelli italiani).

Quando si ferma, lo fa per farmi assaggiare la sua crema pasticcera: bignè, con una strana derivazione dal bocconcino messinese, e uovo. Semplice ma con una soavità autoritaria, riporta al palato la sensazione di un’indissolubile unione, di un raro momento di felicità in cui due creazioni si completano in maniera simmetrica. Silenzioso
… e poi vado avanti da solo…

  – panettone… partiamo dal re: odore persistente di zabaione con lievi note marsalate (anche nell’assenza). Colore giallo tuorlo, molto vicino ad una perfezione cromatica, con sfumature arancioni verso la crosta. 
Da quando l’ho assaggiato, mi capita una strana reazione: un aumento di salivazione alla sola parola panettone. Un cane di Pavlov, probabilmente meno evoluto ma assolutamente più assuefatto di non potere trovare qualcosa di meglio su quella strada. Straordinario. Aromi di agrumi lasciano spazio al contatto tra l’uvetta e i denti e si cristallizzano in un’assenza di zucchero che lascia il palato asciutto e voglioso. 
Sulla crosta un mix di mandorle e piccole gocce di zucchero (che al posto di pretendere i denti, si adagiano sulla lingua corroborando la poesia) ridanno indietro un odore di forno, natale e suq marocchino. Lievitato naturalmente, ha il vizio di avere una forma definita e finita…

  – Praline: varie, creative, riportano all’estro adolescenziale del pasticcere (a quelle notti, parole sue, passate a creare sculture di cioccolato e immaginazione).  
Le lavora in maniera fin troppo perfetta ( gianduia e nocciole, tè, mandorle, varie origini del cacao, pistacchi, peperoncino ecc…) per lasciare qualcosa ad un ricordo profondo… 
… eccezion fatta per una piccola pralina al caramello e al sale di Maldon: mi aspetto il cristallo di sale che non arriva, trovo un’aroma di caramello persistente finché il mio mondo determina che quella è la pralina: arriva di soppiatto un sussiegoso ma gentile afrore di sale che spezza tutte le sicurezze, portando il cioccolatino verso una perfezione non troppo perfetta: memorabile.

  – Setteveli: avevo un ricordo di questa torta, una sicurezza, una conoscenza, dovuta a frequentazioni siciliane, avevo… e adesso ho una “metafora di armonia, dolcezza, seduzione, forza, determinazione e audacia”… ma avevo…

Poi ci stringe la mano, sempre con quella pacatezza uscita dal fumettistico mondo della fantasia, assomigliando sempre più ad uno scanzonato menestrello che sotto smentite spoglie non può fare altro che dire la verità:
“I macaron non mi sono mai piaciuti, O Maestro”, io
“Ma non ha mai assaggiato i miei…”, lui
Ci stringe la mano e se ne va.
Poi ritorna con una pinza e dei macaron in mano.
E’ stata come quella volta che ho assaggiato il formaggio di capra di Gualberto Martini. Entrambi di derivazione francese, ma senza quel cappotto di arroganza data dalla stabilità e dalla tradizione. Sconvolgenti tutti. Ma quello alla rosa e lampone è stato un’apparizione che mi ha fatto sentire meno solo nella strada della ricerca…
Luigi Biasetto è così, senza fronzoli, con poche e determinanti parole che sanno di futuro e che si cementificano nella testa… un fumetto realistico che invita sempre alla prova in mancanza della fede. Un Kierkegaard con quella seconda potenza datagli dalla seduzione di poter sbagliare e di poter curare…

PASTICCERIA BIASETTO
VIA FACCIOLATI, 12
PADOVA (PD)

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