In mezzo alle parole di un suq ligure… Guido Porrati

La Liguria è una terra di potenziale… possibilità infinite di bellezza, angoli che del pittoresco hanno creato il paradigma, vicoli sonnacchiosi, odore di pesce e un rapporto tra mare e montagna realisticamente vicino ad una nuamachia: qualcosa di estremamente spettacolare, per colori, per anfratti, per dialetto e per ironico distacco portuale. Ma in atto, probabilmente, il turismo (la sua economia e il suo modo molto fugace di mordere cartellonistica, menù tradotti e fritto misto) l’ha abbandonata senza un canale di eccellenza, dove rifugiare la sua bellezza più impervia, quella degli artigiani del gusto e del loro modo di trasmettere una terra e una tradizione. Sono rimasti in pochi e l’empireo è lasco, con pochi convitati, qualche cascina, qualche visionario e qualche vallata con la sua storia, rimasta icasticamente nelle parole di alcune anziane che ne tramandano l’archetipo, di generazione in generazione.
Qui dentro ha provato a muoversi un enigmatico personaggio di derivazione acquese, quel Guido Porrati, magniloquente testimone di guide, critiche e articoli che avrebbero potuto sollevarmi dall’incarico prima della missione.
Invece ho deciso di sbattere contro il muro e non mi sono rotto la testa. Anzi.
Mi ha concesso il privilegio di un punto di vista sul mondo che non mi capita più così di solerte: il fascino. E senza produrre nemmeno il becco di un formaggio o di un prosciutto o di una conserva. Lo ha fatto attraverso quella parola, ormai desueta, quel racconto che non può prescindere dai maestri e quell’arte istrionica, tutta sua e dei suoi studi, imparata a dorso del teatro di strada, del suo pubblico e delle sue pose.
Guido Porrati ha creato “Parlacomemangi” perchè la comunicazione possa corroborare l’etica del cibo, possa distrarla, corromperla, finanche completarla… Ecco quello che sa fare Guido: cogliere le differenze di un accento e di uno sguardo e provare ad anticipare la richiesta… Un oste e un cantastorie.
Molto raffinato nel suo modo di porsi. Con quella cultura che si è formato nel corso degli anni. Si scusa quasi per i suoi trascorsi scolastici di ragioniere, ma sono convinto che la sua passione per la manualità, l’avrebbe comunque rapito dalle biblioteche e lo avrebbe messo per strada. Quello che comunque è successo. Suo padre era un pizzicagnolo, piccolo bottegaio generalista, che svolgeva con professionalità il lavoro del mercoledì di novembre come quello della vigilia di ferragosto e avrebbe voluto che suo figlio si affossasse dentro un’orma già tracciata. Invece Guido l’orma l’ha trasformata in un caleidoscopio, con la suola delle timberland a rimarcare la tradizione e con lo sguardo del bohemienne alla ricerca dell’innovazione. E questo l’ha imparato sulla strada.
Teatro itinerante e notti sotto il cielo della Toscana. A lui serve del tempo… e poi del cibo. Quindi torna, togliendo e conservando, in un movimento sintetico che lo ha portato fino ad oggi. Entrano turisti francesi (e il suo linguaggio asseconda le domande), bisogna proporre uno spumante da degustazione della Franciacorta e la metamorfosi tra il prima, banchetto con produttrice non troppo solare e clienti lontani e poco interessati, e il dopo, suo arrivo con presa in mano della situazione e clienti invitati e presi per mano in un percorso e in un discorso, è qualcosa che imbarazza per fino me. Emblematico fino al parossismo: nella sua gentilezza, nella sua conoscenza, nella sua riconoscenza e nella sua magnetiche suggestioni…
I suoi maestri sono tre (suo padre, Giorgio Onesti, scopritore di bontà e Massimo Angelini, ruralista e ricercatore delle origini della patata Quarantina, in un paesino ai confini col Piemonte…) e ne riconosce le tracce, attraverso racconti incantati, intervallati da raffinati incisi in latinorum o in francese bizzoso, che mi trasportano nella medina di Marrakech, all’interno di una Jemaa el Fna ligure che riecheggia il suo passato, trovando anditi comunicativi in cui riposare il nostro passato…
Guido ha creato la sua bottega in continuo mutamento. Consigli, proposte, serate, catering medievali con giullari e saltimbanchi, rapporto con le star e con i turisti da crociera, quotidianità da otto di mattina e rapporto diretto con gli artigiani.
Il tutto annaffiato da un po’ di internet e di scartoffie. Ma qualcosa gli manca… Sicuramente il tempo di regalarsi una gita alla scoperta del norcino che nasconde i salami nel seminterrato oppure di valorizzare la sua terra che, ancorchè scarsa di eccellenze, è ricca di personaggi, come quelli dei formaggi di capra di Sopralacroce (caprini freschi di buona fattura, con un’acidità ballerina ma un sapore speziato veramente interessante), o i pastori sardi della valle del Beigua (con i loro pecorini rapsodici), o Vivienne Dragoni con i suoi formaggi “kosher”, spersi nelle vallate sopra Tiglieto, quasi impossibili da farsi recapitare (almeno prima, il marito di Vivienne, Maurizio, scendeva a Genova per imparare il Talmud, e così si trovavano a metà strada).
Guido propone questi, altri prodotti più consueti e il suo modo di fare così diverso: all’inizio, in alcuni ristoranti di Genova, costretto a portare i prodotti a fine lavoro, quindi durante l’orario della cena, per non passare da fornitore, all’occhio schizzinoso del cliente snobbettino, e per farsi accogliere dai titolari, si vestiva con cappello di paglia e ammennicoli vari, per creare una situazione che, allo scambio, sostituiva lo choc e, alla vendita, il folklore di un momento piacevole.
Quando mi allontano, Guido è intento a spiegare… e questa cosa la fa con tutti, su ogni linea di prodotto e con ogni tipo di cliente, dal turista ad Alberto Marcomini, convinto, come credo sia, del fatto che una domanda posta sia il più bello dei complimenti…

PARLACOMEMANGI
VIA MAZZINI, 44
RAPALLO (GE)

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