La disinvoltura di valorizzare un territorio scomparso… Carlo Alberto Menini

San Giovanni Lupatoto-Soave.

Il primo è il luogo delle basi, dove rimanere, dove costruire e da cui partire. In quelle strade che ormai non fanno altro che alienare due pareti di case che le contengono, con quegli sguardi furtivi e fuligginosi dai balconi, quegli aperitivi sempre un filo fuori moda e quel tempo libero da scacciare, riempendolo di pericolo, toni alti, minigonne stracciate e macchine truccate.

Il secondo rappresenta la sottovalutazione dell’autostrada. In mezzo, al di là e al di qua di un cavalcavia trancia-pianura. È il luogo dell’incontro, del tavolino all’interno dell’enoteca, di un oltremodo sintomatico “cercatore”, Luca Ghiotto (appassionato prima che commerciante…). È il luogo che, al di là della Serenissima, prima di avventurarsi in colline di vigneti, ciliegi e stradine minimizzate in curve e ciclisti in preda al sudore, mostra la bellezza che può rimanere in pianura. Per merito o per colpa del vino. Restano wine bar, mura medievali, il Castello Scaligero (con quell’impressione di abbandono salvifico…) e vicoli sempre più stretti su facciate rimaste… per bisogno o per desiderio…

L’incontro tra i produttori (che sviscereremo con altre parole e in altri lidi…) ha un preludio: un veterinario vicentino che sta cercando, attraverso il coadiuvo di professori sparsi in varie Università italiane, di portare avanti un progetto sull’alimentazione ad Omega-3. Non è una novità, almeno per quanto riguarda il latte – Angela Saba in Maremma, con il suo proditorio pecorino anti-colesterolo e La Pievetta in Emilia su latte e yogurt, sono già avanti nelle sperimentazioni -, ma Massimo Marchesin, con lo sviluppo della sua filiera “AmicΩmega”, partendo dal latte, ha provato l’innovazione anche nei vitelli e nelle manzette da carne. Parole spicce: alimentazione integrata con semi di lino (di provenienza francese), ricchi di grassi polinsaturi ma con due controindicazioni, l’inassimilabilità e la presenza di acido cianidrico se presi in grosse quantità. Quindi ci vuole bilanciamento, ricerca, benessere animale e attenzione da parte degli allevatori. Ci vorrebbe anche la selezione delle razze e un alpeggio controllato (basta con queste cazzo di frisone in transumanza…), fatto di grigio-alpine o brune originali… ma per ora, il lavoro di Massimo (a metà strada tra l’allevamento di famiglia, il lavoro di nutrizionista animale e la voglia di poter trasformare il proprio latte…) è quello di mediatore tra le varie parti: vacche, alimentazione, allevatori e macellai. Carlo Alberto ci ha visto brandelli di futuro e ha iniziato a macellare le loro carni: marezzate, la quantità di acidi grassi insaturi (superiori al 60-70%) rilascia sensazioni oleiche, molto pulite. Il grasso esterno non è costante, la scioglievolezza decisamente sì.

Carlo Alberto ha una storia diversa, senza tradizioni, senza compiacimenti. Dopo un incidente in moto, da lunga degenza, con il tempo libero per pensare, ha deciso la strada della macelleria. Metà anni ’90: scandalo mucca pazza. La temperie culturale era gastronomicamente arretrata, si tingeva di azzardi che arrivavano dal Dorsia di New York, di ceviche, di patinate pubblicità d’oltralpe con la carne nei vasetti che prendeva il nome da produttive razze svizzere. Così, Carlo Alberto decise di rilevare una bottega dove si lavorava la carne di cavallo che, superati i retaggi degli anni postbellici in cui non si poteva vendere dopo la calata delle tenebre, per il colore troppo scuro che insinuava dubbi e paure, aveva rinnovato un tenue esotismo. Così iniziò… lavorando sul venir meno di nonne e casalinghe. Il rampantismo da giacca Armani e borsa Bottega Veneta abbisognava di facilità, preparazioni e imboccamento.

La lunga partenza, arrivata oltre la metà del primo decennio del nuovo millennio, è stata affiancata, dopo la conoscenza di Sergio Capaldo de “La Granda”, dalla selezione e dalla frollatura di Piemontesi. Regolari, senza invecchiamenti o proteolisi troppo spinti, badando sempre al gusto del cliente, al benessere animale e allo studio del territorio. Quello che non l’ha fatto fermare, quello che l’ha portato a guardare a quegli allevamenti che abbisognavano di comunicazione (perchè Slow Food era troppo impegnata…) e a quegli allevatori che provavano un recupero di antiche razze autoctone.

Lui è diventato il realizzatore finale. Quello della macellazione, della vendita, dei ristoranti (perchè Carlo Alberto crede ancora nella parola “carta” e crede che si possano ancora cambiare usanze e velleità… il molto che basta è che lo chef assecondi il macellaio nella spiegazione del trattamento da riservare alla carne…) e del cliente finale… forse il più ricco di soddisfazioni, sicuramente il meno necessario e quindi il più complesso… la necessità diventa subito desiderio nella contemplazione del prezzo…. più alto e assolutamente meno illusorio…

Carlo Alberto è un selezionatore (e i produttori con cui lavora o ha lavorato non sono né quelli dei mercati né quelli degli eventi…), un macellaio e un trasformatore (a breve c’è l’idea di collaborare con un amico chef per una linea di prodotti “gastronomici”…). Passa da affumicature casalinghe di straordinarie carni battute, all’utilizzo della senape quando ti aspetteresti il sale… a costate di cavallo ferrose, con il sangue a riempire il benessere, fino a straccetti rosati con sovragusti di sottobosco… Carlo Alberto ha la sicumera di essere tra i pochi, se non l’unico… almeno nella zona… uno di quelli che non necessariamente chiamano empatia o affezione… uno di quelli seri con cui discutere poco, guardare il culo di una ragazza, svegliarsi la mattina presto, nebbia o sole… uno di quelli, dai modi contrastanti, che non ha tempo da perdere ma da prestare…

 

MACELLERIA EQUINA CARLO ALBERTO MENINI

VIA MADONNINA 19/A

SAN GIOVANNI LUPATOTO (VR)

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