La pecora Brigasca e le sue contraddizioni. Aldo Lo Manto

Casello autostradale di Albenga. Dopo meno di un kilometro, tra rotonde e stradine di campagna, iniziano ad apparire campi coltivati a basilico, non terrazzati ma piani. Le mosche e l’afa distruggono la suscettibilità. Le strade si stringono e, in lontanzanza, tra qualche albero di fico e qualche prugno, scorgo un piccolo ammasso di casette, stamberghe e capanne. Qualche balla di fieno avvolta da un non fierisimo tetto in simil eternit e molti animali che non rassicurano sullo stato di cose.
La Liguria della riviera e degli agriturismi, quella dei turisti e delle vallate piovose, è lontana anni luce. Qua c’è lavoro, resistenza casearia e rapsodiche maniera. Il rozzo si trasforma in cavaliere per ritornare rozzo. L’umanità è slegata dall’abitudine quotidiana dello zerbino fuori dalla porta. Qui abita un pastore, uno che ad un’età troppo fragile si è fatto in treno la “Caltanissetta-Genova e oltre”, per accompagnare suo padre nella transumanza definitiva, quella dell’abbandono. E il pastore è quello che Aldo sa fare, continua a fare e non può smettere di continuare a fare. Con le sue mille cinquecento pecore (che quest’anno diminuiranno di 500, dopo che l’anno prima sono diminuite di 400, perchè l’Asl ha deciso di farne a meno a causa di una malattia che “potrebbe” diffondersi nelle stalle…), la sua transumanza, le sue notti in alpeggio in Val Roja, in una roulotte senza luce e acqua corrente, Aldo cerca di non perdere definitivamente una passione che non è riuscito a trasmettere, che si stra infrangendo contro i limiti posti da Asl, Haccp, degustatori, presidi Slow Food e burocrati, e che si sta dissipando in donchisciottesche guerre di principio. Quelle che non vuole più fare (come quando, durante un party di radical chic gastronomici, agli artigiani  fu vietato l’ingresso al banchetto “post-discussione-coi-produttori-togli-peso-dalla-coscienza”, terra di giornalisti, degustatori Onaf e autorità del territorio…) perchè l’età, la paternità e la stanchezza gli hanno messo ragione dove una volta c’erano istinto e pancia.
Quando penetro nelle stanze di stagionatura, sento un forte odore ammoniacale che impregna la stanza. Il cattivo segno perdura fino al naso. Tutti i formaggi sembrano avere questo problema. Ma insisto nell’attesa. La stanza è stipata e il difetto di uno può essere la Fata Morgana di tutti. E infatti.
La sera riappropinquo il naso alla crosta. Et voilà. Odore scomparso. Qualche forma (Aldo sostiene che c’è stato un problema di temperature che hanno fatto sbrinare la stanza con conseguente perdita di acqua…) ha, probabilmente, avuto qualche problema di fermentazione e di maturazione, inficiando il resto. Problema da poco perchè il gusto del formaggio è rimasto tale, quello che a Cheese 2011 mi aveva portato a non smettere di cercare.

Sora, sola o toma sono nomi diversi per un formaggio facilmente identificabile. Aggiungere o meno altri tipi di latte può essere un vezzo e può essere un vizio. Aldo, nel suo passato e per richieste particolari, ha creato pecorini (in sicilian style), canestrati, cagliate acide ed erborinati di pura pecora. Ora può cambiare la pezzatura, si alternano le stagioni (formaggio d’inverno e formaggio d’alpeggio), la lunghezza della stagionatura, la forma (che può diventare una robiolina) ma il formaggio è unico. Con vari aromi, varie strutture e vari sapori. Dall’afasia invernale dei quattro mesi di stagionatura (morbido, suadente ma con al naso solo un forte sentore di stalla e senza un sapore definito) alla straordinarietà dell’alpeggio dell’anno precedente (fragranze di erbe e fieno, sapori decisi che trovano, alla fine, casualmente, una mandorla e una mandorla amara… formaggio veramente unico…) fino alla formaggetta con crosta rossa che ne mantiene il gusto all’interno: sapida, con qualcosa che mi riporta alla fontina d’alpeggio…

Aldo è un personaggio quasi plumbeo, a differenza del sorriso che viene più volte descritto sul web, con una negatività intrinseca che ha qualcosa di fascinoso… Non so se sia la voglia o la forza a mancargli, ma il suo scagliarsi, contro l’istituzione e contro la pastorizzazione (a cui tutti saranno prima o poi costretti perchè la sicurezza del cittadino ha bisogno di Plotino, Hitler e Berlusconi…), mi è sembrato fiacco, quasi senza parole, con una reiterazione di nausea. Mi ha riportato a Gregorio Rotolo, ma senza quegli occhi che non hanno mai smesso di rilanciare in tutte le sue intenzioni bellicose. Aldo produce un formaggio che, a tratti, tocca l’eccellenza e, nonostante non abbia il bollino Cee per esportarlo al di fuori delle province confinanti, ha avuto in sorte le attenzioni di Slow Food che l’hanno portato fuori. Ma la transumanza, le notti a contatto con la luna e la tranquillità di fare il pastore in nome di un’idea di pastorizia, non hanno più un volto cheto e silenzioso. La fama si espansa e i problemi pure. Perchè entrambe le cose non dipendono direttamente da lui. E si sa, se ci si affida al gusto del cliente, la fallibilità, la moda e l’incoerenza sono dietro l’angolo… Speriamo non smetta di sperare…

FORMAGGI DEL BOSCHETTO DI ALDO LO MANTO
FRAZIONE BASTIA, 1
ALBENGA (SV)

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