La razionalità al servizio della creatività… o il contrario? Giovanni Pina

Trescore Balneario. Un paesino sulla strada, che mi riporta il volto di mia madre. A metà tra Bergamo e Lovere, in uno di quei posti di passaggio tra la virtù e il vizio con annesso ritorno. Le persone scendono, salgono e molto spesso si fermano… e sono costrette a rimanere. All’interno di quattro mura, un bancone dei dolci, uno del bar e una decina di tavolini. Una volta dentro, non possono fare a meno di non cercare il motivo che dovrebbe spingerli lontano da lì. Entrare dalla porticina, attraverso la prosa onirica di Paul Morand, e non poter più guardarsi indietro per vedere se è ancora aperta. E allora, andare avanti! Sperando di non essere costretti a dare retta al piccolo che tira il braccio perchè è iniziata la stagione del gelato, alla moglie che indicizza con sguardo educativo la prossima visita dal medico che sottolineerà la sconvenienza di un dolce in quella dominanza castrante chiamata colesterolo, finanche alla compagnia annoiata che beve un caffè, annusa una spremuta e riflette come la fragranza sia una qualità degustativa e non olfattiva, a causa di un linguaggio onomatopeico tra denti e pasta sfoglia (cit. un signor fornaio)…
Tutto quello che c’è oltre il cancello, meta di ardimentosi e sognatori, è la Pasticceria Pina, dove lavora Gianni, un uomo molto prima di qualunque professionalità.
La fortuna ci ha regalato un pasticcere, ma questo nulla aggiunge ad un esistente con  ombre molto sbiadite, quasi catatoniche (che probabilmente esistono e si trasformeranno sicuramente in quotidiane nevrosi… ma, per quanto riguarda me, irrintracciabili…), una di quelle rare persone con cui la comunicazione non si è trasformata in ricerca di linguaggio e di contesto, ma è stato un momento di istintualità e gesti, tutti corroboranti e tutti puntanti la stessa meta. Una di quelle con cui hai la fortuna di poter andare oltre… a volte fuori, attraverso l’ironia, a volte dentro, attraverso la mostrazione della pancia…
ALBORI
Giovanni, ma così credo che lo chiami solo la suocera, ristretto in Gianni, ha deciso di rimanere. Liceo scientifico. Terzine dantesche a memoria e a menare il dito. Basket. Facoltà di medicina. Dissolvenza in nero. Servizio militare. Cesura. Rientro nella pasticceria di famiglia, quella che suo nonno, anarchico fiabesco con le dite arse dal forno a legna (conseguenza di una ricerca empirica del buono), decise di aprire, nel 1920, in un paese dedito al passaggio e ad echi di bagni termali. Nessuno sconto ma una passione crescente.
DA TRESCORE AL MONDO
Francia… New York. La sua esperienza più importante. Quella al Le Cirque di Sirio Maccioni. Una semplice creme brulèe, con un sapore e uno stupore, le città viste di notte, quando metteva il naso fuori dal locale, uno yuppismo imperante, Andy Warhol e Donald Trump, messi in vetrina e omaggiati della cena, che venivano annusati ed ammirati da fan e giornalisti, e una fama sempre crescente…
DAL MONDO A TRESCORE
L’amore lo riporta in Italia. Ma la nostra fortuna non corrisponde alla sua. Il matrimonio dura poco. Iginio Massari e la nascita dell’Accademia. Stoccarda. Vittorie e nuovo amore. Tre figlie. Il resto è dedizione, capacità e passionalità sconfinate.
La tradizione rivive nella modernità che abbandona la tradizione per ritrovarla in una nuova veste, molto più unica che rara.
Gianni è una persona di raffinata intelligenza. E non sto parlando di genio, passione, capacità, cultura, intuizione o fantasia, ma mi sto dedicando a quella razionalità che fuori esce dai canoni della creatività, per rientrarci con una ricchezza da prima donna, data dalla dimostrazione sempre possibile nella sua naturalezza, ma mondata dall’olezzo della spocchia…
Si avvera nei suoi banchi, nel suo laboratorio, nei suoi strumenti sempre all’avanguardia, nella maniera di studiare un avvenieristico modo di conservare il dolce, nella divisione dei compiti, nel rispetto che s’invera negli occhi tesi e appassionati dei suoi lavoratori e nel rispetto con cui li tratta. Con un velo d’ironia, coscienza della caducità del mondo in quanto mondo, e una punta di solitudine. Quelle che tiene dentro a livello conscio, ma le stesse che scappano dal progetto, nelle risposte d’istinto alle domande provocatorie.
Sopra dovrebbero essere in due, forse tre, il resto va raggiunto e superato. Con deferenza e rispetto, ma con il possesso di mani e cervello che, sulla strada di casa, mi mettono già addosso la malinconia di non poter parlare della partita di calcio il lunedì mattina, davanti alla sua linea di brioche al lievito madre…

– Trenta centimetri per quindici. Il suo panetto di madre legata e custodita, senza leggende di decenni o millenni, con i più classici degli accorgimenti e un vestito che cambia sempre. Le mani le mette solo lui. Ancorchè, all’interno della pasticceria, ci siano ottimi pasticceri, il lievito lo cura in solitaria riluttanza. Colombe, veneziane, panettone (a forma di tappo di champagne, come lo faceva suo padre… mai assaggiato ma, solo per  averlo odorato negli occhi di Gianni, sempre più almanaccato…), pandori.
Un regno di ingredienti studiati con il fanatismo della bontà (farina Besozzi, burro tedesco, canditi Agrimontana ecc…) e di tradizioni da non mettere in discussione: l’uvetta nella colomba (con una ghiaccia di zucchero e mandorle baresi rapsodica e non estesa su tutta la superficie come a non voler nascondere la sofficezza del soffice) non ci deve essere perchè, a differenza del panettone che ne detiene all’interno a simboleggiare l’opulenza e l’augurio per il nuovo anno, è il dolce pasquale che rappresenta il miracolo di San Colombano che ha trasformato il grasso in magro… quindi solo scorzette d’arancia e una quantità di burro lievemente inferiore al panettone.
L’assaggio, tra occhiature o alveolature, sapori persistenti o appena accennati, acidità controllata e colore giallo betacarotene, non può sostenere un paragone… è un assoluto di felicità, mani, e di quella sapienza che Roland Barthes definiva “un po’ di sapere, un po’ di saggezza, nessun potere e quanto più sapore possibile”.

  – Poi ci sono i suoi pasticcini, uno sconvolgente composto da pasta sfoglia, crema gialla e pinoli, i cannoncini con crema pasticcera, che mi ricordano il suo volto quando mi ha raccontato che un cliente si lamentava del fatto che fossero friabili e croccanti, delle meraviglie con i lamponi e un composto con noci e pasta frolla da rimanere storditi per l’intrinseca capacità di commistione tra ingredienti…

   … ma su tutto, rimarrà indelebile il primo assaggio di un semifreddo allo zabaione al moscato di Scanzo (prodotto da suo padre…)… la dolcezza del passito con la sua acidità non denota (perchè sarebbe troppo semplice la definizione di zabaione al moscato) ma connota con sfumature emozionali che lasciano stupiti per lo shock con cui ti fa perdere in un sentore di uva per poi farti ritrovare con l’uovo in bocca e l’ebetudine in viso.

Gianni Pina è un essere umano che ti chiama alla pacca sulla spalla e all’abbraccio, per la comprensione e l’empatia con cui gestisce il suo mondo, i suoi rischi, le sue consulenze, i suoi omaggi, i suoi assaggi, gli altri pasticceri, i suoi dipendenti, le relazioni aleatorie e credo anche quelle profonde ma soprattutto per il sorriso con il quale si fa ricordare attraverso i suoi dolci, qualcosa che al volto gli provoca ancora meraviglia. Ecco veramente tutto.

PASTICCERIA GIOVANNI PINA
VIA LOCATELLI, 14
TRESCORE BALNEARIO (BG)

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