La sottovalutazione di un silenzio… Fausto Colzani

Sempre Cassago Brianza. Sempre famiglia Colzani. Un impero di buon senso che sgorga talenti, certezze e precursori. La zona si appropinqua al lago di Como e ha la necessità della collina per fregiarsi di un interesse e di un turismo. Si chiama Brianza ed è alla ricerca di un’identità. Quei produttori, che si uniscono a creare associazioni, non sempre sono una definizione, quasi mai riescono a percepire un senso e ad andare al di là di belle voci, bei vigneti e belle parole.

Per tutti valga una frase di Emanuele Comi, già su questi schermi, che, alla domanda sulla possibilità di usare un cioccolato brianzolo, mi risponde ”Noi abbiamo bisogno di identificarci, di una definizione. Il cliente si confonderebbe a pensare che la materia prima che usiamo è prodotta in una pasticceria a dieci kilometri…”. Quartiere, vicinato e albero. Ipocondria e genetica. È difficile trasformare Kant in Levi Strauss. Il proprio orticello rimane il proprio orticello, il dirimpettaio è un’ombra triviale che ammorba l’aria di diversità. La coesione è un miraggio poco identificativo e il dialogo s’infittisce di buone maniere e rari complimenti. In questa melma viscosa, è rimasto intruppato il più avanguardista dei locali brianzoli. Salottiero e caduco, da un lato, sincero e artigianale dall’altro lato, quello di Marco e di Fausto.

Marco è un cercatore che l’Italia farebbe bene a tenersi stretta, se non fosse troppo impegnata a pubblicizzare i propri trionfi e le proprie ricette “30 grammi di margarina, 100 grammi di farina e 150 grammi di casualità”. È un artigiano scientifico e geniale. Ma tant’è.

Di Fausto poco si sa e poco arriva al cliente. È l’immagine più stordente all’interno della Pasticceria Colzani. Ti aspetteresti di tutto, ad eccezione del suo volto.

Stride con la ritualità dell’aperitivo, con il design, con il sito internet, finanche con la modernità dell’accoglienza. La coccola è uno sguardo lontano, quasi randagio, fatto di rughe, di notti lavorative, di partenze da zero e di abbandono dell’artigianato tessile, quello di famiglia, quello che ha fatto della Brianza il regno della superficie.

La scelta della pasticceria si perde nella notte dei tempi. Gli insegnamenti non hanno avuto un maestro, una folgorazione o una tradizione, ma semplicemente delle scuole dove apprendere, come tutti gli altri, senza eccezionalità o accademismo.

1977. Nasce il primo locale. La giovane età lo spinge a cercare un’idea di pasticceria indigena, a cercare una concordanaza d’intenti. Comi, Magni, Zoia sono quei tre che, ad Accademia ancora da fondare, impazzano nell’operosa Brianza. Il lievitista, il conformista e il pasticciere, disponeteli voi come volete. La simpatia ha casa altrove, così come il savoir faire. Il tappeto rosso e il complimento lasciano spazio all’egotismo dionisiaco. Così la separazione non diventa un lascito. La fabbrica d’idee diventa un mero laboratorio d’appoggio a ristoranti e pasticcerie. Ora si producono i lievitati natalizi che i calli non riescono più a rendere autarchici. Maldicenze, silenzi, fortune altrui, rivoluzioni culturali e portuali del gusto che, alla solitudine, preferiscono la chiacchiera, hanno abbandonato la timidezza per la gloria. Chi è rimasto indietro, ha continuato a fare il semplice pasticciere, tra familiari e soliti clienti. Un’idea chiara di educazione e una speranza per il futuro lontana dalla concretezza.

Fausto Colzani conosce i propri limiti, non tenta gli occhi e non cavalca il prodotto per interesse, resta legato, indissolubilmente, al gusto della semplicità. Quella che nemmeno fa tornare bambini, per incapacità a trovare un’origine da cui far partire il tutto. È un inframezzo celiniano, all’interno di una corsa folle in “Morte a Credito”, dove l’artigianalità è un piccolo bancone, dolci definiti e golosità senza limiti. Dalla parola al dolce. L’emozione non ha bisogno di un’architettura. Nemmeno ora che marmo e vetro hanno rubato spazio ai pasticcini.

Il classicismo si rivela in una meringata (perfetta), in una sacher materia prima-annebbia-pudori, in una torta panna e fragoline (anacronistica quanto fanciullesca) o in un profiterole, dove la straordinaria copertura di cioccolato (in cui dolce e acidità trovano conforto e dove la cognata Rosy, fedele compagna di viaggio e di pasticceria, mette in mostra tutto il suo orgoglio e tutta la sua cortese bravura…) non lascia da parte il bignè che presenta un sottilissimo involucro, la cui vacuità ne favorisce il ripieno. È ludico, è estetico, è buono….

Il cannoncino è la sua friabilità e il suo giallo. Uovo e ricordo. Niente da aggiungere.

Ci sono delle cose che probabilmente andrebbero riprese, lucidate o aggiunte all’offerta. Ma la voluttà ha tante sfaccettature e tanti esecutori. Basta uscire e andare altrove a cercare la modernità. Qui c’è il dolce senza turbamenti… ma basta e avanza…

…per il futuro sono sufficienti le fantasie autarchiche di Marco per tremarelle regionali, nazionali e con moustache e naso all’insù.

Fausto parla poco di sé, tende a mettersi in ombra, facendo risaltare amici e colleghi. Le domande dirette vanno tutte fuori bersaglio. Glissa sul corredo (hotel, spa e porsche parcheggiate…), come se fosse infastidito o non del tutto assuefatto. La concretezza è, fuor di poesia e di metafora, fatta dalle mani e dagli attrezzi (consumati e usurati dalla verità)…

Così è. Sfuggendo al complimento o alla storia, sfugge ai lampioni, rimanendo rappreso nella nebbia delle dieci di sera a carrozze scariche e luci sfocate… quando la paura diventa romanzo…

C-COLZANI


VIA NAZARIO SAURO 47


CASSAGO BRIANZA (LC)

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