L’alpeggio e le sue donne… Francesca Monaci

Strada che sale verso il Rifugio Calvi. In mezzo alle montagne, ai boschi e alle cascate, è disperso l’Alpeggio Mersa Ca’ Bianca. L’ultimo paese è quello di Carona. Alta Val Brembana. Il fiume Brembo, appena nato, rigoglia con forza, quasi maestosa, su una vallata che mantiene in vita i lembi del sogno. L’Azienda Agricola della famiglia Monaci rimane placida nel territorio di Branzi. Lì, la madre di Francesca e sua sorella continuano la vendita estiva e la caseificazione dei formaggi freschi. Il resto della famiglia, composta da tre cugini, più il padre, lo zio, qualche cane e qualche faccia rapsodica, si trasferiscono in alpeggio. Anzi per la precisione, negli alpeggi. Due, uno a 1600 metri, l’altro quasi a duemila, in modo che le vacche abbiano la possibilità di adattarsi al clima, all’erba e alla stagionalità. Un mese più in basso, i restanti due in quota. Dove ci sono più spazi e dove è possibile iniziare la stagionatura del formaggio in casera. Qui si fa Formai de Mut, quello vero, quello dimenticato e quello che sa molto di dialetto, di tradizione, di silenzi, visi stanchi, sudati e rubizzi, e di selvatico. Qui, la famiglia Monaci (una laureata, due universitari e i loro maestri di esperienza e di mungitura…), lontano dalle paure di una quotidianità e di una società a rischio contaminazione, si è trovata tra le mani il futuro di tre giovani, senza forzature ideologiche, ma con il solo desiderio di dare bellezza, e soprattutto modernità, laddove c’erano sveglie alle cinque, pantaloni di fustagno, barbe ispide e natura incontaminata. Tutto è avvenuto attraverso una scelta, probabilmente La Scelta, l’unica che può determinare e creare le fondamenta di un’artigianalità che soffre una crisi, più profonda e subdola, rispetto a quella dei telegiornali e delle code alle Poste: quella degli ideali.
Francesca è timida, ma con il garbo del tempo. Prima di rispondere, attende sempre quei secondi utili, da un lato a generare imbarazzi, ma dall’altro a fermare la chiarezza all’apice comunicativo. Non sfugge nulla, né alla sua dialettica, né al suo pudore. Le sue guance, lontane dalla contemporaneità dei rapporti consumati dietro un monitor, si colora di cremisi nell’accenno dell’intimità. Bellezza e lontananza. E le stelle continuano a guardare. Così come il mio sorriso inebetito nel fraintendimento e, probabilmente, in una sicurezza sarcastica molto metropolitana.
È un mondo lontano quello dell’alpeggio, privo delle comodità e delle tecnologie, ormai basilari alla società civile della contemporaneità. I piatti si lavano fuori con l’acqua raccolta dalla terra, i letti sono materassi a castello dove creare un fosso senza sogni che non siano stanchezza e dovere mattutino, l’esistente diventà comunità e l’intimità, condivisione. All’interno.
Ma il di fuori, quello che può portare la grandine nel giro di pochi minuti, è fatto di roccia, acqua, natura e cieli stellati, cose così desuete alla collettività che apprende l’oggi come quel domani dove affogare il proprio stress, come quel weekend dove fissare un muro bianco e come quelle ferie estive dove farsi organizzare sorrisi e minuti vuoti, assimilabili vieppiù all’ansia di occupare un tempo…
In alpeggio, no, niente di tutto ciò, la natura decide e ci si deve adeguare. Nella creazione dei formaggi, nella disponibilità della mungitura e nella bontà del prodotto finale. Così le forme di Francesca, una purista del latte crudo (che non viene mai nemmeno termizzato…), hanno tutte una faccia diversa, delle rughe che invecchiano bene e dei make up che al massimo raggiungono un fresco o una semi-stagionatura.
Gli eroi del consorzio sono in undici. Rapsodici come i loro formaggi. La bravura si va a legare alla stagionalità o alla forma. Il disciplinare è chiaro (formaggio grasso, pasta semicotta, presame di vitello, rottura della cagliata in grani molto piccoli, pressature per lo spurgo del siero, salatura o a secco o in salamoia, crosta sottile giallo paglierino, marchiatura in blu per quello prodotto in malga e in rosso per quello prodotto in valle), il resto lo fanno l’anima, il cuore e le mani.
Sulla stagionatura del Formai de mut parto scettico a causa di un facondo (ai limiti della logorrea…) putiaro della Latteria sociale di Branzi, che mi spaccia un invecchimento di otto anni come il tartufo dei formaggi. Ma il negozio luccica di Massobrio e premi vinti. Quindi, sento puzza e diffido. Francesca mi dice che è rarissimo che una forma possa arrivare a quella stagionatura, ma non impossibile. Nicchio.

Su in malga, assaggio l’alpeggio 2011 (un anno esatto) e strabuzzo gli occhi: color arancione betacarotene (eh ci mancherebbe…), nessuna occhiatura , un’imperfezione di fermentazione, aroma straordinario di fiori e gusto intenso ma senza sbalzi, molto profondo fino al retrogusto. Quello invernale marchiato di rosso è, invece, un formaggio da passeggio, senza clamori e molto femminile. A seguire, provo uno stracchino verso la gessatura, simil salva-quartirolo, acidità accennata e sapore di latte strepitoso. L’ultima poesia viene delibata sotto forma di burro: centrifugazione (rarità) e selvaticità. Difficilmente si trova di meglio… in Italia poi…

Giù in valle, penetro nelle stanze di stagionatura, cerco gli aromi e trovo i contrasti. Sua madre taglia e pensa. Ad un certo punto le sovviene qualcosa. Mi provoca. Le dico di non preoccuparsi. Si preoccupa lo stesso. Sta via dieci minuti e torna vincitrice. Formai de mut dell’alpeggio 2009. Si fa fatica a tagliarlo. Ma poi esplode. Mi aspetto sapore profondo di umidità ma faccio l’errore più grosso della mia vita: ci lascio il cuore e anche un pezzo di intelletto. Profumi e gusti straordinari. Dal Parmigiano al Bitto, passando per i pascoli e arrivando fino alla mandorla amara. Color mostarda. Incredibile bontà.

Tutto il resto (ad eccezione di un simil Branzi, invecchiato un anno e mezzo, con echi di Comtè o Beaufort invecchiato, di grande compattezza olfattiva molto fruttata…) è ricordo fugace: primi sali, yogurt e stracchini cremosi… la mia attenzione era altrove… anche alla ricerca di una definizione…

Francesca Monaci è una ragazza di ventisei anni (forse qualcuno in più, forse qualcuno in meno), laureata a Milano, che ha scelto l’alpeggio… altro da aggiungere?

AZIENDA AGRICOLA MONACI
VIA GARDATA, 3
BRANZI (BG)

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