Le partiture della materia prima…. Filippo Stella e Gianna Benassi

Montagnana di Serramazzoni. A pochi kilometri da Maranello. L’Appennino, a causa del troppo spazio, diventa pianura, ritorna a essere collina, e non si lascia nemmeno catturare, decentemente, in un pranzo. Curve su curve, tornanti che non diventano mai rettilinei e fretta mi hanno sconsigliato una ripetizione delle strade sbagliate. Troppe. Anche perchè la vista, il silenzio e quella natura meriterebbero un fruitore diverso, forse migliore. La pianura è molto vicina, la montagna si estende attraverso creste, valli tributarie e pendici. I boschi ricoprono tutto, lasciando poco spazio alle rocce. Le pietre miliari segnano il passo. Arrivati a 10 km e 400 metri da Serramazzoni, in prossimità di una curva, una stradina porta verso il Museo della Rosa: pochi metri prima abitano e lavorano Filippo Stella e Gianna Benassi.

Quella scelta, che definisce nei confronti del mondo, li ha portati, prima, da Modena città, dove le occupazioni di musicista (lui) e insegnante (lei) erano molto metropolitane, a Palagano, in mezzo alle montagne, con una coltivazione di frutti di bosco in biologico e una serie di conserve e confetture dedicate (Pomarium), poi da Palagano a Montagna di Serramazzoni, a vivere e a produrre. La casa è il laboratorio che diventa il magazzino. L’ospitalità è quella più autentica e conforme alla cultura addomesticata dalla natura dei calli alle mani, delle sveglie presto, della stagionalità e della produzione che diventa commercializzazione. Gentilezza poco sovrastrutturata. Ad accompagnarli, due distinti compagni di viaggio (Mariangela e Maurizio), un po’ produttori, un po’ politici, un po’ latifondisti, muniti di barba, capelli bianchi, senso di apertura, forme suadenti e rifinite, argomenti di conservazione e assoluta convivialità. Così, per la prima volta nella giornata, mi rilasso.

I convenevoli, con l’arrivo di Filippo, spariscono anche di fronte ad un riesling invecchiato nel petrolio. Musicista, compositore classico, cappelli arruffati ed espressioni molto lontane dai salotti cittadini. Ancorché la corte dei miracoli, fatta di occhiali di corno, giacche blu con bottoni d’oro, barbe finte e discorsi sulla musica vocale dell’avanguardia di Penderecki sia un rischio sempre dietro l’angolo. Lui non accenna mai al suo passato, non si loda in dissertazioni dove la grande cultura l’ha portato a scelte più radicali, ad un unione olistica con la natura. Lui ha mutuato il ruolo dell’ottimo trasformatore, con il rispetto per materia prima, ossidazioni e sterilizzazioni.

Nella nuova avventura di Conservo, Filippo e Gianna hanno cominciato con l’idea di mettere a disposizione i propri macchinari, il proprio roboqbo e la propria esperienza, al servizio di quegli agricoltori, di quei contadini o di quelle botteghe che volevano una propria linea di prodotto. Il problema, soprattutto con il medio contadino appenninico, era (ed è tuttora) la qualità della frutta consegnata. Di solito scarti da ultimo raccolto.

Il conto-terzismo ha insita l’anima del commercio e dell’esigenza. Così hanno deciso di proporre una linea, “D8 – Prodotti dotti per animi ghiotti” (bypasso il claim che inquieta il mio agnosticismo…), di conserve, succhi, marmellate e confetture, dove scegliere, dirimere e definire materie prime e accostamenti. Niente pectine, acido ascorbico solo nei succhi, percentuali ragionate (e non esaltate dal mito della percentuale: 150% di albicocche, 200% di fragole o amenità simili…), saccarosio o zucchero di canna, pastorizzazione (fatta eccezione per il tartufo che viene sterilizzato nelle sue lavorazioni…), processualità sotto vuoto, niente succhi di mela ad edulcorare, concentrazioni ragionate e bilanciate.

Territorialità:

-le mele campanine, tipiche della bassa, sono le tipiche mele cotte. Da trasformare. Lunga conservazione, molti antiossidanti e polifenoli. Vengono lavorate in senapata, ancorchè io non ne riesca ad apprezzare l’abbinamento. Troppo liquido e poca asprezza. L’insoddisfazione di Filippo è la ribellione dell’artigiano all’idolatria dell’uno. La serialità è una notte insonne.

-le amarene brusche: sorprendenti e denocciolate. Acidità incredibile dovuta solo al frutto. Sciroppo di acqua e zucchero. Prodotto straordinario e raro.

-la rosa canina autarchica: vellutata e leggermente acidula. Il poco zucchero la rende estremamente delicata, quasi inaccoppiabile…

-la zucca violina tipica della valle del Po: giallo-arancio, gradevolmente dolce, necessita di un contrasto sapido, particolarmente sapido…

L’innovazione risiede negli accoppiamenti, nella lavanda, coltivata in Italia, abbinata alle pesche, nella buccia di bergamotto ricoperta di cioccolato, nel chinotto Pamparino lavorato con l’anice del Sassolino, nel radicchio trevigiano lavorato con l’aceto balsamico, nella tonda gentile (ma sulle creme siamo agli albori…) e negli agrumi contrastanti (la materia prima è contraddittoria: arance sottotono, buon mandarino, lavorato separando le bucce dal succo…)…

In tutti questi prodotti, e anche nei succhi (assolutamente bevibili, ottimi al gusto e nella percezione, ma forse un filo vuoti, un filo “acquosi” per una sincerità artigiana…), si sente una passione viscerale di persone che, attraverso la scelta, stanno cercando un’identità. La commercialità, nella fase della crescita, in quella maturazione necessaria per arrivare al palato, all’esigenza e alla minuzia gustativa del cliente “non dotto”, è un’aspirazione sterile. Prodotto e occhi sono stupefacenti, ora bisogna lavorare di cesello… anche perchè Gianna e Filippo, nella loro frugale gentilezza, hanno quello che pochi hanno, anche in questa corsa allo scaffale “dei sapori di una volta”, quelli che la nonna ricavava con l’accetta e il grembiule… hanno partitura e finezza del gesto. Quella cultura filtrata dove la disuguaglianza sembra tornare libera…

 

CONSERVO

VIA GIARDINI NORD 10248

MONTAGNANA DI SERRAMAZZONI (MO)

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