L’espressione volitiva di una trojka di allevatori… Piero Valenti

Sempre Randazzo, ma un po’ fuori. Su quella strada che guarda Bronte e che non invita i turisti. La gente arriva qui per un motivo: l’Etna. Il suo fascino, le sue nuvole, la sua piana ritratta nei dipinti di inizio ‘900, così diversa dalla natura isolana, brulla, cosparsa di resistenza e volti assolati. Qui i crateri si spargono, la lava ha reso fertile e i boschi hanno messo radici. Ma non quelli radi con il sottobosco bruciato, ma quelli caducifogli di betulle, con colori che, addirittura, si possono spingere fino al rosso.
Tra Randazzo e Bronte c’è questa strada che spezza il vulcano dai Monti Nebrodi. Estreme propaggini territoriali di un parco naturale che diverge, regala una razza autoctona di suini, abeti, baracche dove mangiare la carne di castrato e una miriade di sleali venditori di formaggio acchiappa-turisti. La bellezza deve essere sempre inficiata, altrimenti che Sicilia sarebbe?
Tuttavia…
I tre fratelli Valenti diventano uno. Piero. Colui che gestisce l’immagine (attraverso il negozio di macelleria aperto qualche anno fa) e la comunicazione. Gli altri li vedo solo attraverso il finestrino di una jeep, direzione azienda agricola, non particolarmente persuasi dai quattro “cristianeddi” con polo sgargianti, che ha in macchina il fratello. All’evidenza più subitanea: terraioli, invisi agli sguardi interrogativi. Passano oltre con un cenno degli occhi… nemmeno il fascino dello specchietto retrovisore… solo una nuvola di polvere e un ricordo che non ci sarà.
Piero è più dirozzato, nonostante ogni tanto sembri in cattività. È come se quella macelleria, quel luogo fisico composto da quattro mura e due signore, non bastasse alla foga dei suoi occhi e delle sue possibilità. Un trattore in tutti i sensi: nello sguardo e nella dolcezza, nel modo di tagliare la carne e in quello di ricercare la rivoluzione. Perchè questo è il nodo principale da dove tutto parte. Il biologico settentrionale ha l’immagine di una barba bianca, di sandali e di una erre moscia. Qui, invece, per sviluppare qualcosa di diverso, la classe e lo stile devono, gioco forza, togliersi la giacca e diventare altro: un misto di cattiveria e determinazione. L’unico ensemble per superare i limiti dei paesani e inserirsi in una maniera diversa, che possa arrivare al consumatore finale come qualcosa di “decisamente” fuori dal comune.
Perchè di questo trattasi. Le origini messinesi di Piero si sono ormai stabilizzate su una cadenza “catanese” che non si può fraintendere. Il suo modo di comunicare non è privo dell’ascolto. Anzi. Ma quando può innestare il turbo, confini, mura, limiti e fossi diventano l’anfiteatro del suo spettacolo. Divelle, sradica ed estirpa tutto quello che si trova innanzi. Falsi miti, cagliate, presidi e contadini da sovvenzioni regionali.
La provola dei Nebrodi diventa il cimitero dell’onestà. Spettri ancestrali fuoriescono dalle viscere dei caseifici, creando formaggi con la rapidità del lampo e in assenza di bestie.
Porto di Amburgo, latte in polvere e Gregorio Rotolo. Ecco l’attualizzazione. Arrivano cagliate, già pronte, quasi tutte dalla Germania. Pare che Piero sia andato dal suo dirimpettaio caseificio, alla mercè di provole e mozzarelle, a chiedere di vendergli  quegli strumenti mai utilizzati per la produzione…
Cagliata>Formaggio. Niente bestie, niente trattamenti termici, nessuna sveglia alle cinque di mattina. Prezzi che possono scendere fino ai sei euro al kilo (e sotto probabilmente…). La gente è così felice di portarsi a casa una provola di Floresta o di Tortorici che il malgaro si può beatamente trasformare in casaro e il casaro in venditore. Et voilà, la concorrenza diventa un trivio di puttane educate, rispettose e reverenziali. Perchè dove si mangia in due, si può mangiare in dieci…
Sapore, fragranze e sfogliature passano chiaramente tra le pubblicità dietro i titoli di coda. Per Piero e per i suoi fratelli (che curano in maniera certosina l’allevamento, l’alimentazione e l’agricoltura…) non possono che essere i fattori primari per dare qualcosa di diverso a quei pochi refrattari, che ancora ricercano…
Caldaie di rame, tini e spini di legno. Caglio di vitello o di agnello. Rottura della cagliata in chicchi di riso con aggiunta di acqua calda sui 70-80°C. Siero per la ricotta (straordinaria. Una parola sola. Lontanissima dall’immaginario siciliano della pecora bagnata e pesante, questa ricotta vaccina ha un sapore lunghissimo di nocciola e una fragranza difficilissima da trovare nelle consimili…). Tuma. Riposo di circa un’ora e spurgo in mezzo a tavole di legno per circa 24 ore. Processo della filatura. Che non viene fatta con acqua calda come per la mozzarella, ma con il siero della ricotta tra i 75 e gli 80°C. A mano viene raggomitolata. Escono aria e siero. Manipolazione lunghissima della pasta prima di raggiungere la forma finale, con una tecnica similare a quella per impastare il pane. Tutto ciò, in stagionatura, regala un formaggio dalla sfogliatura perfetta: quella percepita tra palato e denti.  Salatura in salamoia. Affinamento, con le provole legate per il tipico collo, fino anche ai due anni…

Ecco. Questo è nulla. È la base. La diegesi di un racconto. Il racconto stesso lo legge Piero, affettandone una forma di oltre cinque mesi. Crosta colore giallo ambrato. Pasta bianca sfogliata alla perfezione. Unghia abbastanza spessa con note, vieppiù ci si avvicina alla buccia, tipiche del parmigiano reggiano stagionato. Bouquet di fiori ed erbe di campo, sia nell’aroma che nel gusto. Un filo asciutta nel protrarsi della masticazione. Piccante tenue finale. 

Assaggiate per anni. Tutte molto coperte. Percezioni nascoste e assenti. Questa è realmente altra merce. E non tanto per il biologico, da cui entrano ed escono, ma per lo sviluppo negli assaggi a distanza di giorni e settimane. 
Così però gli altri formaggi, dal pecorino fresco (buono ma senza eccepire…) alla mozzarella di bufala che non presenta, in questo caso, né la compattezza né la sfogliatura necessaria a spiccare per un gusto che rimane un po’ troppo solo. Plauso per la pancetta arrotolata: c’è di tutto, dal pepe alla cannella. Il grasso è aromatico e poco asciutto. Ottima.

Quest’autarchia rivoluzionaria, alle falde dell’Etna, è qualcosa di verace e profondamente legato al territorio. Senza congiuntivi o neologismi, senza barbe sfatte e mogli con gonne gitane.: un separatismo dedito all’allevamento di suini, vacche pezzate rosse (mi pare arrivino dall’Austria, ma sono una derivazione diretta delle Simmental e dei pascoli alpini…), pecore, agnelli (che, causa caldo, dispongono le loro teste sotto la pancia delle compagne e che macellate, giovani, rispecchiano la tradizione nebrodense del castrato sulla brace, adulte, la rarità di una strepitosa pecora bollita…) e galline, alla coltura di fagiolini, uva, angurie e fragole (fanno parte del consorzio della fragola di Maletto, una rarità che rischia l’abbandono…), alla mostrazione di cervi e alla determinazione del territorio. Come fanno in pochissimi, come si capisce dalla stretta di mano di Piero e dalla totale assenza di “lagnusia”, così folkloristica e così vitale all’inaridito contadino siciliano…

AZIENDA AGRICOLA BIONATURA
VIA MAROTTA, 101
RANDAZZO  (CT)

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