Lo sciamano del pistacchio. Aldo Bongiovanni

Deciso a ponderare l’imponderabile e stufo di sentire nominare la parola Bronte, mi dirigo verso una zona dei Monti Sicani, distante da qualunque centro di interesse e dedita all’inerzia umana.
Centri abitati, molto distanti tra loro, lasciano spazio ad un fragoroso silenzio interrotto da qualche latrato e da una vista monotona su campi di grano e vette troppo basse per raggiungere il cielo. Le costruzioni umane sono casuali, rapsodiche, è come se fossero lì solo per rispondere alla mera esigenza umana di esistere.
Molti paesi sono identificati da una dedizione o da una conformazione territoriale (le arance di Ribera, il pistacchio di Raffadali, la pesca di Bivona, il formaggio di S. Stefano Quisquina), alcuni sono tracciati dalle sedie degli anziani del paese che invitano o a non fermarsi o a rimanere per sempre, poi c’è San Biagio Platani, dedito alla costruzione di quadrivi e dedali di viuzze.
Alle pendici di questa poco ridente cittadina, ci sono dei terreni di proprietà di uno strano personaggio: Aldo Bongiovanni.
-“Sono ad Alessandria della Rocca, sto arrivando”, gli dico al telefono.
-“Quando arrivi a San Biagio, al primo quadrivio, prendi la direzione per  Casteltermini, fai 2 km e mi trovi in mezzo alla strada”, mi dice.
-“Come ti riconosco?”, io.
“Dal codino”, lui.
E’ tutto qui. Se l’articolo non fosse scritto, rimarebbe solo un personaggio fuori dagli schemi, non solo della realtà, ma soprattutto dell’immaginazione dei suoi concittadini, e un pistacchio di una purezza e di una bontà irraggiungibili.
60 anni, dedito alle erbe officinali, alla scultura, alla pittura, alla scrittura di fiabe, alla rielaborazione di lutti, alla costruzione di Dolmen, alla dragologia, al recupero di materiali di scarto, all’intaglio del legno, alla produzione di oli, vini e aceti aromatizzati e al recupero di antiche varietà di piante, con metodi biologici e biodinamici, Aldo è un improvvisato sciamano girgentano, innamorato perso dei suoi pistacchi.

Questo frutto, così differente dal pistacchio di Bronte (straordinario anch’esso, ma vittima della voracità e delle targhette dei gelatieri…), cresce in un terreno non vulcanico e molto secco, la sua riconoscibilità è data da ramificazioni che ti chiamano all’abbraccio più che alla contemplazione, è di colore rosso all’esterno e verde molto acceso all’interno. 
Fa bene alla salute (è ricco di grassi insaturi essenziali, favorisce la riduzione della frazione di colesterolo LDL, dannosa per la salute e l’aumento di quella HDL, protettiva nei confronti delle malattie cardiovascolari) ed è una di quelle rarità che ti fanno sentire meno solo nella scalata verso il paradiso.
Camminare nei pistacchieti è stata la realizzazione di uno dei miei desideri più profondi. Raccogliere direttamente dalla pianta questo frutto, spaccare i due gusci con i denti, sentire un aroma di freschezza nuovo, sentire una grande differenza rispetto al pistacchio puro ad un anno dalla sua raccolta (che è il “classico” prodotto finale… sempre incommensurabile) e sentire una differenza abissale rispetto al suo infognamento in sacchetti salati per aperitivi innaffiati da aperol e frutta secca assuefacente, è stato un invisibile momento di felicità, di quella stessa felicità “che si racconta male perchè non ha parole, ma si consuma e nessuno se ne accorge”.

Aldo, nel mentre, ha continuato a sorridere e a raccontare, ci ha guidato attraverso i luoghi della sua abitudine, ci ha mostrato i suoi prodotti (tra cui spiccava un pomodoro secco di straordinaria bontà…), le case che ha costruito, i suoi scritti, finanche il suo modo di litigare con la gente del posto, in dialetto stretto e accelerato, fatto di ingiurie a brucia pelo e chiuso con uno straniante “Salutiamo”, detto, con la mano alzata, in una maniera ironica ma sincera, come conclusione di un gioco di ruolo, ripetuto e ripetitivo, piuttosto che di una reale incazzatura.
La sua maniera di vivere l’ha trovata in mezzo alle piante. In mezzo a quei pistacchi, così placidi sotto la calura pomeridiana, che raccontano una storia centenaria di necessità, di inutilità, di recupero, di rarità, di desiderio, di bontà e di prezzi esagerati, che raccontano, meglio di qualunque anziano del paese possa fare, la tradizione di un popolo che non si accorge della grandezza dietro casa, che continua imperterrito a riportare il diverso ai canoni del conosciuto e la rarità ai canoni della stanchezza.
Il pistacchio è il mandorlo, è l’arancio, è l’olivo, è una storia di contadini, di sfruttamento, di incapacità alla valorizzazione, di caldo torrido e di paesi rimirati dalla sedia del balcone di casa, così vicini ma così legati ad una tradizione altra, ad una quotidianità altra. Così altra, da rimanere per sempre distante e per sempre diversa.
E a chi interessa se uno sciamano, coi suoi modi così eccentrici, crede di poter riportare tutto ciò sotto forma di una relazione?
Gli altri comunque rimangono altri e lo sciamano non sarà altro che il pazzo shakespeariano protagonista di storie, leggende e curtiglio paesano.
Ecce il pistacchio di San Biagio! Una di quelle cose troppo diverse per esistere veramente.

AZIENDA BONGIOVANNI ALDO
CONTRADA RUSSOTTA, 1
SAN BIAGIO PLATANI (AG)

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *