Ombre, passato e futuro… Andrea Busnelli (e l’epifanico Teresio)

Arluno. Autostrada, rotonde e ferrovie. Direttrice Milano-Novara. L’hinterland del nord ovest ha una storia dimenticata. Una rivisitazione industriale scavata al di sopra di un impianto seicentesco, dei broletti, dei cancelli, dei palazzi e delle ville. Uno di quei paesi con una storia che non esiste più, se non nei libri o nella tradizione orale di qualche vecchio di paese. Nel tessuto abitativo compaiono alcune filande, lascito di un passato di lavorazioni tessili, operai e oscuramento della memoria. Il Parco del Roccolo è a pochi kilometri, con i suoi boschi che diventano siepi, le sue siepi che diventano prati e i suoi prati che ritornano strade e centri abitati senza turisti, senza clienti e senza cittadini. All’interno dei locali, sugli acciottolati, nei bassi caseggiati novecenteschi, le persone appaiono ancora con cadenze antiche, di lombardi finiti in un multiculturalismo casuale e assolutamente rigettato. Quelle poche botteghe storiche confluiscono tutte verso Piazza Cavour, in quella pasticceria che ha cambiato il nome in cognome. Da Pinuccia (eredità di nomi dati con l’albero genealogico…) a Pasticceria Busnelli. Da Teresio (discendente di album di famiglia senza discussioni…) ad Andrea.

Poca illuminazione e poco interesse. L’apparenza è quella di una dolceria di paese, confezionata e predeterminata, l’accoglienza è tra l’indifferenza e l’indisponenza. Nessun sorriso, nessuna estetica, nessuna domanda. Il gusto va preso e guidato, la femminilità è l’integrazione di una mano in pasta, non il risparmio sull’illuminazione. Tanti dolci, assortiti così, senza una linea guida, senza una direttiva, senza una bellezza. Ansiogena e abbozzata, l’accoglienza è da rivedere nella sua totalità. La glacialità è quasi invadente. Fortunatamente vengo tratto in salvo da Andrea. Il mio martire ma non solo…

Il laboratorio si sta lentamente rinnovando. Lui non alza mai gli occhi, ma rimane a mezz’aria. In quel limbo tra la seduzione e la sicumera. Ogni tanto si lancia in pindarici giudizi sui prodotti (tipo l’eccezionale gianduia Callebaut…) e ogni tanto rimane invischiato all’interno di sterili lamentele sui prezzi dei prodotti. Così, si abbassa la qualità della materia prima, senza un reale studio o una nostalgica voluttà.

Sul resto, se solo riuscisse a disincagliarsi dalle ombre e a compiere quel patricidio, così affrancante e così consolatorio, potrebbe dedicarsi al presente di un pasticcere. Ora, l’epochè concettuale mi spinge a guardare al passato e a preconizzare un futuro.

Uno stuolo di giovani apprendisti ammanta i laboratori che mantengono ancora i nomi delle offellerie del passato. La credenza è il luogo deputato alla nostra chiacchiera. I clienti sono cambiati, vivono di rimpianti. Andrea è deluso, quasi stanco di una realtà fatta di ricordi e cinquanta euro. Il numero di pasticcini è sceso da quaranta a venti, l’Accademia è un dogma poco interessante, Mauro Morandin (altro figlio d’arte…) è un grande uomo e un esempio da seguire (le praline senza utilizzo di panna o di burro sono la base della sua cioccolateria), le lavorazioni al cioccolato (praline, dragée, tavolette ecc…) sono compiute tutte in loco (“mica come tutte le pasticcerie milanesi”) con i “migliori” (?) produttori sul mercato (Callebaut, Valrhona e Icam), le paste lievitate sono frutto dell’esperienza del padre e non modificate (un filo più asciutte dell’eccellenza zoia-massariana, come da genealogia del panettone…), il weekend viene dedicato anche alla produzione di un pane a lievito madre (che all’assaggio rilascia caratteristiche “birresche”… cit.), con farine Colombo e Sobrino (qui il mio grande plauso…) che danno vita ad incroci pugliesi, a micche di kamut, segale e grano duro, e della pasta fresca (ravioli, agnolotti ecc…), per aumentare l’offerta e sorprendere il cliente.

Il panettone è un buon prodotto, evidentemente più asciutto, ben alveolato, poco dolce, pochi aromi esterni e senza quel betacarotene da pastorizzata Aia (le uova le spezza ancora una ad una… plauso civile). La torta di Arluno è un ottimo tronchetto con farina di mais, la pasticceria secca è meglio di quella fresca, deliziosi i buondì a lievitazione naturale (idea di Pinuccia, la madre, che li mise anni fa in pasticceria… strepitosa alternativa per madri disgustate dalle sinottiche merendine ai sedici cereali della grande distribuzione)…

… ma io ho bisogno del passato… di suo padre, di Teresio… ho bisogno di un travestimento… scopro che vive ad Ossona e, arrivato nel centro del paese, inizio a domandare a barbisun e brontoloni assuefatti al bianchetto, gote rosse e risposta pensierosa. Trovo subito la sua villa. Mi apre Teresio, la storia della lievitazione italiana, settan’anni in abiti da lavoro. Scopro, dopo poco, che la moglie gli ha fatto costruire un laboratorio di tutto punto nella taverna di casa. Forni, impastatrici, sfogliatrici e soprattutto il suo mitologico lievito. Lui fa ancora dei corsi, impasta croissant, pane, colombe e panettoni per alcuni abitanti del paese e per quei pasticceri che ancora recepiscono il Maestro come qualcosa di deferente. Insegnamento, tanta pratica, solitudine lavorativa, nessun associazionismo e soprattutto serenità. La stessa che mostra sua moglie Pinuccia, mista a qualche lacrima di stima e amore per il figlio Andrea, che vorrebbe protagonista di articoli, silenzi, recensioni e gloria… Delusi ma innamorati… del metafisico dallo sguardo rivolto al cielo non è rimasto niente. Ci sono solo due persone con un amore infinito e delle diramazioni che abbisognano solo di scoperta e poesia…

 

PASTICCERIA BUSNELLI

PIAZZA CAVOUR 3

ARLUNO (MI)

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *