Padri putativi e alpeggio… Sonia Spagnoli

Gianico. Bassa Val Camonica. Sul confine con Artogne, in quel pezzo di terra dove la pianura domina ancora nettamente. Tra l’alto Lago d’Iseo e Darfo Boario Terme, le Prealpi Bresciane, prima di diventare boschi, lasciano spazi aperti dai castagni e dal ciliegio selvatico. Qui, abbastanza lontano dal paese, a due passi da Le Frise, con un pezzo di montagna a completare il quadro, sorgono caseificio, stalla e abitazione di Sonia Spagnoli e della sua famiglia, antica stirpe di malgari.

Lontano da lì. Dove le macchine non possono arrivare e dove è difficile trascorrere un’estate di una normalità universitaria, con svaghi, preparazioni serali, uscite e prime cotte, ad oltre duemila metri d’altezza, la famiglia di Sonia ha deciso di alpeggiare d’estate, con le sue vacche e con le sue tradizioni. Trasformare direttamente in alpe e ridiscendere al tempo delle cartolerie. Lei aveva dodici anni la prima volta che lo fece consciamente e, da lì, parole come “mare” sono un mero sentore. Niente televisione e niente vista. L’immaginazione è stata fugata da poco meno di un anno, quando grazie ad amici di famiglia, è riuscita a scendere in Riviera. Per farsi un’idea e per non avere il tempo di sentirsi fuori posto. Una gita da estati iniziate i primi di giugno e finite a metà settembre, nella libera servitù di un alpeggio. Anzi dei suoi tramuti, quelle fasi di salita in quota che permettono alle bestie di adattarsi, cambiare il pascolo e l’alimentazione, e di sfruttare quei maggenghi (strutture poste a metà strada) dove la mezza montagna diventa montagna. Sonia, però, non ha i capelli di paglia, il libro di foto in bianco e nero, tre denti e la cultura decorticata peculiare al tempo della distanza, dove i formaggi erano solo questione di botteghe cittadine e dove la differenza veniva percepita come ignoranza, in primis dalla borghesia cittadina, così affascinata dal “mito del buon selvaggio” e così radicata in affettazioni e credenze da trasformare tutto in aneddoto, Sonia vive al tempo della crisi, quella della cultura generalizzata, quella del trekking e di Michele Corti, quella che ha riportato i malgari a livello degli eroi, Sonia ha scelto l’alpe, anche attraverso un percorso formativo universitario, alla facoltà di Agraria, tra Milano ed Edolo. Il mondo visto è la decisione del suo benessere. Poche parole scritte da lei: mungere, lavorare il latte, provvedere alla manutenzione delle cascine, fare provvista di legna, andare al pascolo e traslocare da una stazione all’altra tre o quattro volte nel corso della stagione”, ecco la quotidanità dell’alpeggio.

In abiti civili, alla corte di Gualberto Martini, mentore, padre putativo, gran maestro di casera, ha l’immagine dell’urbanizzazione. Meno, quando inforca la sua jeep. Bastano i pochi metri, da Le Frise a casa sua, per cambiare la geografia antropica. L’appagamento della degustazione lascia spazio alla responsabilità di una famiglia sulle spalle. Ancorchè ci scherzi, lei rappresenta la comunicazione e il futuro di un composito gruppo di allevatori-casari, passati da avere un distributore (che assorbiva tutto il prodotto…) a gestire la commercializzazione delle forme (quelle d’alpeggio, già tutte prenotate prima della partenza di giugno…). Piccola, tenace, concreta, i sogni fuoriescono male pure tra le parole di una chiacchiera urbana. Quando le chiedo del fidanzato, mi guarda negli occhi diretta, senza inflessioni, e risponde “C’è qualcuno”.

Le vacche hanno portato la famiglia verso i formaggi della tradizione. Da pochi mesi sono entrati anche nel Consorzio del Silter che hanno iniziato a stagionare questo inverno. Formaggella, nostrale, burro, fiurit, ricotta e casolet, qualche salame e molta tecnica.

Il nostrano (che marchiato diventa Silter – cioè casera, il luogo della produzione – il formaggio, marchiato, più importante e profondamente compromesso con la quotidianità e la tradizione…) è il motivo del burro o il burro è il motivo del nostrano. Latte parzialmente scremato, vittima o carnefice della povertà. Un formaggio semigrasso vassallo del burro, quando la ricchezza era di pochi, uno straordinario prodotto da stagionatura, oggi che il bisogno ha lasciato spazio al desiderio. “Non vendere tutte le forme giovani, mantienine alcune per farle stagionare. Uno, due, tre anni…”. Gualberto dirozza, io concordo, il formaggio (su tutti quello di Andrea Bezzi a Ponte di Legno) ne è il più fedele esecutore. La forma da me assaggiata, arriva con le scuse per non essere di alpeggio. Manca di profumi floreali e al naso è un filo umida. Occhiata, stagionata sotto i sei mesi su tavole di legno sotto la sua abitazione, sapido (ottima saltatura a secco che non lascia i retaggi della conservazione…). Sapore dolce, un filo ciccoso alla masticazione, niente olio di lino sulla crosta, un bel prodotto quotidiano. Maturazione e alpeggio me li andrò a prendere col tempo di Sonia. Il casolet, latte parzialmente scremato, dalle forme eterogenee dopo il taglio della cagliata (triangolare, rettangolare o semicircolare…), è un formaggio semplice, morbido, senza una particolare profondità; la formaggella, invece, è perfetta nella sua vocazione di tipicità e di contesto: latte intero, scalzo basso, occhiature delicate, al gusto ricorda lo stracchino di Guglielmo Locatelli, in quel di Vedeseta. Ha qualcosa di valligiano, di montano, di profondamente legato al latte e alla sua parte più grassa. Il burro, per affioramento controllato dal Silter, è ricco, poco fiorito, quasi plastico, poco grezzo, molto raffinato… sembra quasi un prodotto nord-europeo. La ricotta (e ci sarebbe anche il fiurit, ricotta liquida da accompagnare alla polenta, che non trovo…) profumata, forse un filo troppo asciutta.

Nel racconto mancano i fiori, le erbe, la leggenda e i camini, eterea presenza di vita… periodi, colpe, circostanze, momenti… ci saranno integrazioni e successi… per Sonia sicuramente. È brava, comunicativa, presente, con lo scrupolo dell’esigenza, ma senza il timore d’invadere. Segue Gualberto che la presenta al mondo, affraccandosi da quella sottana che non ingombra ma gratifica. Anche nel dialogo con chef mai nemmeno immaginati, anche nel rapporto con i mass media. Il suo pudore è verso il suo prodotto mai verso l’attesa del gusto dell’altro…

 

AZIENDA AGRICOLA LA CASERA DI SPAGNOLI SONIA

LOC. DOSSO 11

GIANICO (BS)

fulvio pe

ho letto attentamente…. si ho visitato i tuoi luoghi che sono dentro le mie radici, cara Sonia ,il tuo è il seguito di un viaggio fermo in un lungo ma in cammino col passare delle genti con i tratti somatici imbelliti ma sempre seguendo una fiammella che ci può portare ad una sana convivenza … ciao sonia un abbraccio ai tuoi genitori.

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