Passioni e rotture di un panificatore incombente… Alex Gado

Quattordio. Un paese tagliato in due dalla Strada Statale 10. Meglio conosciuta come Padana Inferiore. Forse l’unico motivo di suspense o di memoria. Un luogo antropico da cantautorato spiccio anni ’90 o da bagatella adolescienziale in preda ad ormonali motorini cavalcati da gonne sempre un filo fuori moda e sempre oltre nel palpeggiamento. Lo snodo di un paese inesistente, fatto di nebbia e colli in lontananza, è un centro attraversato dalla noia e dal silenzio, da un pomeriggio fisicamente morto sotto gli stendardi della non-curanza e dello sviluppo edilizio. La pianura, l’equidistanza da Alessandria e da Asti, l’incombenza giovanile di un parchetto in cui deificare il cugino di Tony, ex-spacciatore che ha rischiato la galera, ma con due semafori rossi si è garantito il paradiso: questo è Quattordio, uno di quei paesi di provincia dove le menti rimaste menti, fulgide e laconiche, hanno costruito la grandezza intellettuale dalle nostre macerie. Uno di quei posti dove la fantasia o vaga o muore. E così trovi sguardi vacui e capacità incredibili. Necessariamente lontano da qui… in quella conference call, tra Pechino e Cupertino, dove, sulla scheda biografica, appare a lettere incomprensibili: luogo di nascita Quattordio. Ecco un paese fantasma e un ragazzo che ha deciso di voltare le spalle alla famiglia e rimanere a presidiare il saloon.

L’Antico Forno di Gadio è situato all’interno di una palazzina storica diafana: casa e lavoro. Sopra e sotto. L’interno ha un anti-banco su cui soprassiedere è il solo dovere e un retro-banco assolutamente contestuale. Dietro a tutto, una ragazza sorridente. Alex e sua moglie Simona non tardano e rispettano. Tempi e luoghi.

Capello rocker anni ’80, tatuaggi senza esiti, barba fascinosa di una provincia non proprio amata e assorbita fino in fondo. Le differenze partono dall’abitudine e dall’abito. Il candore, quello che fa fermare provocazioni, guerre, domande e velleità, appare subito nel tremore di una voce interrogata. Rimasta lì fraintesa e giornalisticamente privata della certezza del proprio laboratorio, appare come un momento d’intima abnegazione. Ancora il pudore di non aver nulla da dire, di aver troppo da dire o di aver troppo poco da dire. Le argomentazioni sovrastrutturate decadono e quando le tesi diventano il pane e la fiducia, Alex si rilassa e comincia dall’inizio.

Panificio di famiglia. Nonno e antichità, mai passati dalla parte della conoscenza. Padre, miglioratori e facilità, rimandati al mittente. Il forno nel centro di Quattordio viene abbandonato e le strade si diradano. L’origine familiare verso una pasticceria di Felizzano e lui e sua moglie nella palazzina appena fuori il paese. Relazioni, scambi possibilità comunicative vengono recise sul nascere. Alex rimane con una tradizione da costruire. Ex novo. Anzi, dal lievito madre. Quella cosa propagandata ma mai messa a fuoco. Fino alla scoperta del poolish (per essere precisi del lievito “naturale” liquido) grazie ad Alessandro Alessandri: convitato di pietra della panificazione ligure-piemontese che, oltre alle rivelazioni, si è portato dietro il piacere delle lingue burattine e la possibilità di farle entrare ad Eataly. Ma questa è un’altra storia… per Alex un pensiero di stravolgimento…

Lui è solo, produce per i concittadini, ha sempre puntato sulle lingue e sui grissini. Ultimamente ha messo in produzione quindici kili al giorno di burattata Marino con il lievito liquido. Il resto sono pani e panini fatti per dovere, qualche dolce, i finocchini (biscotto strutturato come fosse una frisella, con anice estellato e finocchietto tritato a corroborare un sapore tipico dalla struttura sabbiosa) e dei biscotti educati: un ottimo amaretto montato, che andrebbe privato di un filo di armellina per rendere al massimo, dei baci di Alassio precisi ma senza materia prima e delle squisite paste di meliga con la polenta Marino, lievemente tostate al palato, avvertibili alla masticazione, solubili, filologiche e antiche.

Privo della tecnica strutturata, quello che passa di Alex sono le tracce di rudimenti e veglie. La pasta madre nasce per lui e per la sua famiglia. Prima autarchia poi vendita. La comprensione è un tarlo modaiolo sulla strada di marketing e comunicazione. E lui è allo stadio primitvo, quello della farina sulla maglietta e dei forni che rompono gli argini della sopportazione fisiologica.

Le lingue burattine, con lo strutto in cottura che fa storcere il naso ai salutisti, sono un prodotto veramente ben fatto. Farina tipo 2 del Mulino Marino, olio d’oliva e poco altro. Quotidiano, friabile, croccante e fragrante. Assolutamente contestuale a varie edibilità. Con il piccante contiene ed esprime. I grissini mi coinvolgono, sono pieni con ottima friabilità e poca struttura… ancorchè la mia forma mentis sia già spostata verso il suo pane:

-una tipologia, due forme: a banana e la classica micca, tipo due, poolish, fermentazione lattica spinta, almeno al naso e almeno al primo impatto. La crosta è strutturata e friabile, la mollica è casereccia, forse casalinga. Il pane poco idratato è compatto, pesante, buono, assolutamente gustoso. Senza tecnicismi o concettualismi, è un pane di sostanza, con l’acetica che sale un filo al naso nei giorni seguenti. In bocca niente acidità, ancorchè i gourmet la desiderino. È un difetto ma tant’è. La logica è un telefono senza fili.

Alex, se non ci fossero contemporaneità e bollette, vivrebbe il suo idealismo da quella pianura senza valle, definita come Quattordio. Senza lirismo, senza notti stellate e senza aria rarefatta. Ma corrompersi nel guazzabuglio quotidiano è una necessità ed Alex non ne può fare a meno. I però abbondano, fuoriescono dalla progettualità, si trasfondono in tracce, fantasie, speranze e lievito naturale. La strada è segnata, ora bisogna percorrerla con deferenza e audacia. La gioventù deve diventare rumore di fondo…

 

ANTICO FORNO DI GADO

VIA PADANA EST 3

QUATTORDIO (AL)

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