Pasta fresca e occhi umidi… Maria (Loretta) Babilonti

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Stradella. La Val Versa dietro l’angolo, gli Appennini si avvicinano al Po, regalando alla morfologia quella landa definibile in Oltrepo Pavese. La stretta di Stradella è quel lembo di Pianura Padana schiacciata tra il Po e le colline. Sentori di curve, vigneti, Pinot nero, terre desolate e abbandono conviviale. Qui, la ristorazione, il tanto al kilo, le cantine sociali e la forma mentis del guadagno hanno preso piede, rubando un po’ di autenticità, un pizzico di romanticismo e qualche carta di credito. Per il resto, lontano dal turismo eclettico targato Usa e dagli Relais & Chateaux di altre colline italiane, l’Oltrepò è una zona dove perdersi, strade permettendo, dove forare una ruota, lasciandosi prendere dall’orizzonte, fatto di pianura, di montagna e di freddo.

Stradella si trova a mezz’aria, senza poesia e senza prosa. Ultime propaggini collinari, pianura rimanente, Emilia Romagna a un tiro di schioppo e “una nebbia che sembra di essere dentro un bicchiere di acqua e anice”.

Nella piazza, dietro un vicolo in mezzo tra la strada vecchia e la strada nuova, si nasconde dai riflettori (in tutti i sensi possibili e immaginabili…) un’insegna verde con scritta gialla, odori di nafta e di passato. Antichi Sapori di Loretta e Tarcisio, due nomi usciti da un’epoca dove si guardava alla genealogia più che alla televisione.

Undici di un sabato mattina prefestivo. Il negozio è piccolo, il laboratorio è lindo come difficilmente si potrebbe immaginare. Due lavoranti fuori: una ragazza colombiana a chiamata, precisa, rapida e assolutamente sorridente, e Tarcisio, una storia a parte. Mentre loro lavorano, gestiscono farine e impasti, intrecciano tortelli e cuciono le coperture, il laboratorio continua a rifulgere di pulizia.

Dietro il bancone, in preda a casalinghe, compaesane, clienti mandati da mogli incerte per pranzi rifiniti, c’è Loretta con la sua influenza e una gentilezza assolutamente al di là di mode, tradizioni e occorrenze.

Le voci della clientela ridondano di complimenti. Loretta si schermisce e rimane con la sua storia. Infanzia a Pianello Val Tidone, negozio di profumi, spostamento, a metà anni ’90, in questo margine d’Oltrepò dove il tortello era negazione e assenza. I canoni sono quelli della cucina casalinga e piacentina, quella di sua madre, delle ore passate in mezzo a farina, assi in legno e mattarelli. Nessuna velleità propagandistica, alcuna pubblicità. Solo considerazione e tepore. Lo stesso che riconduce a casa, all’idea di massaia, di grembiule e di pinguedine come carattere dominante e familiare. La Val Tidone ha troppi concorrenti e troppi ristoranti. La Lombardia ha l’interesse necessario per farsi ancora delle domande sulla differenza tra mangiare bene e mangiare male. Qui conosce Tarcisio, che diventa suo marito. Qui insegna alle massaie del paese a fare una pasta fresca formidabile. Pochi formati, della tradizione, materie prime senza eccedere (farine Della Giovanna, uova in guscio, parmigiano Brugnoli… qui giù il cappello) e amore sconfinato verso il mestiere di pastaia. Ravioli di carne per il brodo, tortelli piacentini (legati come fossero una treccia) di magro con ricotta e spinaci, lasagne e rotoli per soprammercato, gnocchi verdi, gnocchi alla romana e gnocchi di patate, tagliatelle e nidi di rondine, pisarei, tre sughi (fagioli, funghi e ragù) e qualche dolce. Ecco tutto.

Sfrondando, potrebbero bastare due gnocchi, due tortelli e i pisarei. Il resto è corredo. Gnocco di patate morbido e straordinariamente aromatico. Semplice, diurno, masticabile. Come tutte le paste di Loretta, poco avvezze all’acqua bollente, con cui si accoppiano bene ma poco. Pisarei e sugo di fagioli, filologici, caldi, pieni. Un piatto di tradizioni, di nebbie, di camini accesi e pianure appena accentuate. Un viaggio nei ricordi e nei costumi piacentini. Tortello con la coda: sfoglia sottile che avvolge parmigiano, spinaci e ricotta, un minuto di cottura et voilà la perfezione. Manualità e artigianalità. Strepitoso.

Tarcisio e Baby (la ragazza colombiana…), mentre chiedo, continuano a intrecciare, raccontare e far sparire. arcisio è stato ciclista (una terribile caduta gli ha chiuso la carriera) e panificatore (il panificio di famiglia, in viale Ungheria a Milano, è adesso in mano ai figli…), ha l’arroganza della timidezza ma ha la fortuna di prestare attenzione alla fiducia: un fiume in piena di bontà, segreti (le sue ricette rimangono sue…) e biasimo verso le attuali generazioni. È duro, riservato e assolutamente diffidente. Ma qui sta la sua apertura al mondo, a quel mondo che Loretta ha creato e che continua a raccontare, con la voce rotta, gli occhi lucidi e un innato antiprotagonismo…

 

ANTICHI SAPORI DI BABILONTI MARIA

VIA CHIOZZI

STRADELLA (PV)

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