Quando l’ammissione dell’errore fa tornare il sereno. Claudio Pistocchi

A Firenze volevo andare, ma non per trovare lui… Non ci sono andato ma ho trovato lui.
Claudio Pistocchi l’ho incrociato più di una volta, ma non gli ho dato peso o la giusta importanza. L’immagine che si era creato e le rassegne dove annoveravo la sua presenza, non mi avevano punto a vaghezza. La causa l’ho trovata, come la maggior parte delle volte che l’uomo corrompe il prodotto, in qualcosa di idiosincratico alla mia pelle, qualche guida, qualche interesse che mi puzza di confessionale-clientelare, qualche pecora smarrita che bela attenzione. 
La torta Pistocchi è un must da gastrofanatici che odora(va) di proditorio… e la colpa era di Massobrio e della sua guida dagli immarcescibili prodotti griffati e dai produttori all’onere della questua pur di apparire. Ma amaramente ammetto la sua vittoria…
Io mi schiero nelle zone del buon Eugenio “puzzone (simpatico nomignolo che gira tra gli adepti della Federazione Italiana Panificatori)” Pol e preferisco ritirarmi, piuttosto che combattere, sprecando forze e apparendo invidioso e rancoroso.
E così avevo fatto anche per Claudio… senonchè, dopo essere stato bannato da un noto sito gastronomico, tra il prezzolato e il fasullo, per aver apostrofato tre dei loro miti, ex pizzicagnoli, uno dei suddetti imbelli con la penna sempre profumata gli ha riportato una mia domanda, tra il latente e il provocatorio…. il guanto era stato lanciato… già odoravo il sangue…ma poi è successo l’irreparabile: Claudio si è dimostrato un artigiano con le orecchie aperte e le tasche chiuse e allora ho deciso di incontrarlo, per giunta nel mio habitat…
Il rendez-vous è preceduto da queste parole sul cioccolato utilizzato, “per fare la mia torta mi basta cioccolato (Belcolade, Icam, Barry Callebaut, Valrhona e altri) che sia “solo” molto buono, il resto del lavoro lo faccio io con la preparazione. Vengo dal settore cucina e la mia torta è più frutto del lavoro da cuoco che non da pasticcere, con tutti i pro ed i contro che questo comporta”.
Per il resto è questione di dialogo, di quello naturale e non ricercato, quello della sincertità di un padre di famiglia che manda i propri prodotti ad Hong Kong, che solo su Milano ha 50 rivenditori e che, nello stesso tempo, presenzia nella più estrema delle solitudini, a tutti i mercatini in cui può guardare il viso dell’ammiratore, la soddisfazione dell’astante, l’indifferenza del cliente e la ritrosia all’invito che pregiudica lo stato d’animo del milanese.
Mi racconta il suo passato, fatto di cucine, incomprensioni, botteghe del gusto, formaggi e infine della torta. Quell’invenzione che gli ha cambiato la vita e che basta a se stessa. Una squadra di cinque-sei persone e tante, troppe imitazioni. L’idea in sé non ha nulla di rivoluzionario. A mio avviso è riassumibile così: toglie laddove la stragrande maggioranza dei pasticceri mette. E il pubblico è attratto dall’assenza, dalla parola “senza”. I “nuovi” cittadini, un po’ untori e un po’ medici di se stessi, stanno attenti a idiosincrasie, alterazioni, diete, intolleranze, allergie… se poi da quel lato ci trovano anche la bontà, allora non possono non spendere…
Ma se il gioco fosse così semplice, Claudio Pistocchi sarebbe un imbonitore con il cambio shimano sotto vuoto, invece è un inventore con lo sguardo placido e sereno di chi ci mette la faccia, trecentosessantacinque giorni l’anno.

Una ganache (quindi crema di latte e cioccolato) assurta alla dignità di torta. E se questo non è più un segreto, diviene comunque la pura identità di questo Maestro con il suo prodotto. La bontà dello sguardo, dell’abito e della barba diventate cioccolato…
La naturalità degli ingredienti pro-intolleranti e pro-salutisti è poco interessante. Mi concentro sulla struttura e sul gusto. Un pantagruelico e “maldestro (ganache)” cioccolatino sotto forma di suggestione estrema, prolungata e persistente. 
Dalla classica, a quella al peperoncino, passando per le declinazioni alla frutta, la torta assume un carattere di fondo sempre presente… quel contesto così bene attualizzato nella versione classica che non si sottrae alla critica di “suadente” per la sua “cioccolosità”, così lontana dall’origine del cacao, ma che non può fare a meno di rimanere lì, a lungo, con un gusto definito e originale e una rara capacità di avvolgere lingua, dita e palato.
Nelle sue varianti, in alcuni casi, viene esaltata, come nell’aggiunta del caffè Sidamo di Piantagioni del Caffè (che ha un lunghissimo e perdurante retrogusto…), nel classicismo pera e cioccolato o nella bianchezza del cioccolato bianco, che al posto di appesantire e nauseare, trova le note meno dolci, grazie al contrasto con gli agrumi; in altri, viene appannata, soprattutto nella variante con la fragola… troppo profumata per dare al cioccolato la centralità… ma in tutte, ha un suo carattere definito…

La “Tuscan Chocolate Valley” lo sfiora solamente, lui è un professionista “diretto e concreto”, con delle certezze e delle migliorie apportabili al gusto che conosce benissimo ma che in un giustificato rapporto qualità-prezzo non può permettersi.
La sua strada ha un solo viandante e tanti autostoppisti e indulgenti alla ricerca di un segreto, di un consiglio o della “prima stesura”. Claudio è generoso, sorride verso la copia, pensando all’invidia piuttosto che alla diffamazione… così si rilassa e continua a fare assaggiare…

3C DI PISTOCCHI C. & C.
VIA PONTE DI MEZZO, 20
FIRENZE (FI)

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