Quel pane del lago di Como… Emanuele Spreafico

Gera Lario. Un paese sulla strada. Senza un centro, senza delle arterie, senza un reale sviluppo urbanistico. È un paese messo lì, sulle sponde dell’alto Lario, tra l’Adda, la Valtellina, la Valchiavenna e la strada verso Menaggio, dove l’affezione del turista sembra un climax che, almeno fuori stagione, lascia spazio alle facce invidiose e raggrinzite dei paesani alla ricerca di un accento tedesco quanto mai desiderato. Il turismo lacustre è una questione di scelte. Olandesi e teutonici, con le loro biciclette, hanno il sentore del tempo che passa e vedono l’Italia come il paese del sole e del cibo. L’accoglienza è un menù tradotto, con i piatti della tradizione e con i piatti della perdizione. Gli stessi che hanno costretto il turista a porsi delle questioni, ad abbandonare i butta-dentro, a non fidarsi più dello chef panzone stilizzato fuori dal locale, con l’orgoglio napoletano e l’impossibilità del rifiuto. Ormai, anche il turista ha le terga infiammate e il desiderio di cercare. Il lago non rinnova se stesso, abbandona il gitante nell’appartamento ricavato dalla casa troppo grande e dai costi troppo esosi… quel che resta è una spettacolare vista sulle montagne senza un reale interesse verso il paesaggio. La provincia di Como è una provincia tralasciata, satura, destrutturata e snaturata, è un maggengo dove fermarsi prima della meta… è una pura casualità. Il paesaggio non basta più ed Emanuele Spreafico, giovane panificatore valtellinese, lo sa bene.

Piazza, che rappresenta il centro della città, lungolago a pochi passi e montagne tutt’intorno. Ma questa non è l’America e nemmeno Como. Qui, la storia della famiglia Spreafico ha rappresentato il passato e rappresenta il presente. Il futuro è quel lascito di Morbegno così difficile da mettere da parte.

Quattro meraviglie, quattro attimi che parlano molto più di qualunque assaggio, di qualunque lievito madre e di qualunque discussione su conservazioni, starter, pollini, gelatinizzazioni o idrolisi.

MIELE, SEGALE, ACQUA, MIRTILLI

La moglie di Emanuele, Paola (libri di pasticceria in mano, disegno-torta frammentario, gestione del negozio e degli ordini: ogni tanto, una forma d’arte tra l’edulcorato della tv e l’organico-polveroso dei ricettari…), senso estetico spiccato, ballerina e musicista, romantica disincantata, ha due anime: madre e padre. La prima, poche chiacchiere e caratterizzata dal luogo, il secondo… un discorso a parte…

… il suocero di Emanuele è una dinamo: scava, costruisce, ricostruisce, porta, armeggia e sorride. È un’intelligenza pratica prestata alla bottega. Ormai in pensione (credo…), si dedica ai dettagli, al contesto, a quelle piccolezze che rendono un bravissimo panificatore, qualcosa di più, qualcosa d’interessante, qualcosa di diverso. Produce miele (acacia, millefiori, castagna), per un uso quasi esclusivo dei grandi lievitati, aiuta Emanuele nella coltivazione di un campo di segale, sempre in Valtellina, primo tassello sulla strada verso l’autarchia ma soprattutto, ogni giorno, riempie un paio di taniche di acqua raccolta direttamente ad una particolare fonte di Morbegno, per il rinfresco della madre del lievito. Tutto questo, per una dolcezza e una leggerezza che il normale acquedotto non può conferire.

L’unica collaborazione che non prevede il suocero, è quella sui mirtilli selvatici. Suo zio, alta Val Gerola, abbattitore, tutto l’anno. In poche parole, la scelta di uno straordinario frutto, ormai soppiantato da coltivazioni con gusti pieni d’acqua, dimensioni e sapori monocordi.

Questo è lo sfondo dove si muove il suo mestiere di panificatore, dove l’arte bianca diventa quotidianità e notti insonni…

Due lieviti: poolish… una biga liquida manuale… senza il generatore Esmach… un filo acetica al naso, dolce al gusto… e una conservazione in acqua (teorema Morandin…), straordinariamente lattica e controllata…

Sulle farine, Emanuele sta lavorando e sta testando. Mulino Marino in arrivo, segale del Mulino di Merano, qualche cereale antico, kamut, farro, un buon grano duro e qualche fantasia fuori fase. Il naso acetico di alcuni pani è quello che più lo disturba in questa fase di crescita e di sperimentazione. Le pezzature non sono grandi, gli accoppiamenti, soprattutto con delle ottime noci cilene, sono pieni, senza sbavature. Croste friabili e croccanti. Alveolature, anche nel lievito misto, ben filate. I gusti, a causa di qualche farina mediocre, non rilasciano particolari sentori. Esaltati nel breve periodo, le piccole pezzature vanno un filo a perdere nella conservazione. Il pane di segale (tagliato con un grano tenero sotto il 30%), strutturato a grosso anello, è ottimo: gelatinizzazione degli amidi, dolce, senza acidità residue, morbido e, considerando il livello di glutine, particolarmente occhiato. I dolci, come la bisciola (un plauso per il rispetto dei sapori, soprattutto auscultando il deserto circostante… tra Moreschi, Mastai e compagnia…), il pan bauletto o il croissant (solo burro), sono precisi, filologici e assolutamente equilibrati.

Emanuele andrebbe richiesto dalla clientela, scoperto nel suo laboratorio, tirato fuori e lasciato ad esprimere un percorso, una comunicazione, un’idea. La sua umiltà, quella che non lo fa mai staccare dal lavoro, la stessa che lo lega alla sua Valtellina e che, sul lago, lo fa sentire in transito, è il peggior viatico per la gloria. Ma Emanuele è uno di quegli artigiani… uno di quelli con la materia prima al di là di qualunque scontrino…

 

PANIFICIO SPREAFICO

PIAZZA BARILANI 134

GERA LARIO (CO)

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