Quella pasticceria che ti distrae dal mare… Santi Palazzolo

Cinisi. Piccolo borgo, tra il mare e la montagna, tra la città e l’aeroporto. Assurto agli onori delle cronache per nomi semplici, ormai entrati nella memoria comune e nella normale dialettica cittadino-mafia. Impastato e Badalamenti, ecco quello che giunge alle orecchie facoltose e pauperiste dei progressisti che non si conformano: quelli che giudicano e rimangono manichei inscalfibili. La protesta è sempre qualcosa che segue… ma nel mentre… o non si poteva o non si era ancora nati oppure si stava facendo una partita a biliardo. E così si analizzano le sconfitte. Le stesse della vacca Cinisara, appartenente al gruppo delle Podoliche, ma sostanzialmente scomparsa.
Ma la Nemesi è lì. E la storia si riprende quelle strade polverose e sonnacchiose che rappresentano la Cinisi dello sviluppo edilizio, quello che ha distrutto e sradicato senza chiedere il perchè e quello che ha lasciato sulla città un alone di abbandono e di vergogna. Lo fa, attraverso Santi Palazzolo e la sua pasticceria. Un’icona della bontà siciliana. Qualcosa che va molto oltre le mode, i carretti, i cannoli al cioccolato e le cassate impietrite all’interno del marzapane. Un posto dove l’innovazione è presente, continua a coinvolgere e non può fare a meno di sottrarre.
A partire dallo zucchero. Come succede nei dolci della tradizione, dove il barocchismo diventa bilanciamento e la storia si rinnova, senza la necessità di abbandonare un passato millenario: partito dai conventi e dalle monache, sviluppatosi attraverso le mani dei clienti domenicali, ammantate di nero al ritiro del “Trionfo della gola” dalla feritoia buia di una quotidianità, e arrivato ad un presente che, dalle alte sfere accademiche, viene recepito come “troppo”.
In quel trivio si pongono Santi e la sua straordinaria capacità di comprendere l’origine, senza tradirla ma progredendola.

Come in una soave sfogliatella alla ricotta. Dove il profumo di zagara ruba parte del grasso al gusto, lasciando tutto nel profumo di qualcosa di unico…

E così, quello che in altri lidi sembrerebbe un banale dovere di onorare il nome dei propri avi, rimane in Santi un indissolubile legame con il proprio passato e con la propria terra. Quella di suo nonno, pasticcere, suo maestro, quella del “salutiamo”, con il dottore o l’avvocato sempre a precedere il nome proprio, o quella delle contese territoriali, della pesca dei ricci o delle feste comandate. Religiose sì, nonostante quel “peccato” di bramosia, espletato attraverso un vorace morso ad una sfincia di San Giuseppe, tanto vicina a quel bombolone “Leoniano” che, sul bordo di un vizio più sordido, tentava, salvando dalla banalità del male…
Ed è lì che s’insinua la tradizione che non può essere messa da parte: nella festa. Ognuna con il suo dolce. Dalla cuccìa alla sfincia, dai fruttini di martorana all’agnello pasquale di pasta reale, dal buccellato fino ai pupi con l’uovo. E la celebrazione non può essere tradita. Né il suo rito può essere sfatato. Si trasmette, si tramanda, certo con il rinnovamento della capacità, ma senza la coercizione di un monito unilaterale, del tipo “qui macaron e mousse, il resto lo si prende alla pasticceria di paese”. E quindi Palazzolo rimane quella pasticceria da cravatta annodata dalla mamma, dopo l’uscita dalla messa, da pantaloni troppo larghi in vita, da poeticismo “tornatoriano” e da oratorio con i calzini bianchi e i mocassini. La gola in tutta la sua magnificenza nostalgica.
Erano gli anni ottanta quando Santi decise di intraprendere il mestiere. Solo sguardi, aiuti, qualche ora passata dietro il banco e un’aroma di dolce che pervadeva le sue giornate. Suo padre non aveva seguito le orme di famiglia. Aveva sì preso la pasticceria, ma con il piglio della conoscenza. L’operatività l’aveva data in mano a gente di fiducia e si era messo sulla strada dell’inovazione…
… Padre e nonno. Sammartinelli (Biscotti di San Martino). Tricotti. Impasto molto duro. Ore di lavorazione manuale. Vito, l’Oratore e il padre, da una parte. Santi, Il Pasticcere e il nonno, dall’altra. Una nuova macchina per lavorare i biscotti e il passaggio di consegne. Il passato diventa presente e già scalpita negli occhi di un bambino. Santi, come attratto dall’horror vacui della locomotiva, tiene lontana la modernità. Le sue mani non bastano più? Vito mostra, racconta e convince. Molte meno ore di lavorazione. Santi, a malincuore, si convince. Dai dieci caffè per i cinisari al dolce moderno. Ecco una Sicilia, che del bianco e nero e delle strade polverose faceva la bandiera del suo isolamento, tendere un ponte al continente. Una rarità. L’Accademia dei Pasticceri non poteva che esserne la conclusione…
E lì, la sua lealtà non passa inosservata. I colleghi la riconoscono, anche nelle rotture, anche nelle esclusioni. Lui rimane legato profondamente ad alcuni di loro. Apprende, ma senza scuole e senza dottrine. Gli sbagli e il lavoro quotidiano gli dicono dove mettere e dove togliere, almeno quanto sua moglie. Nella posizione dello sguardo. Da cui può dialogare con il cliente, notare l’errore, tenere tutti sulla corda, regalare un sorriso e spronare suo marito ad andare oltre, anche nelle incomprensioni e nei dissidi. E a Cinisi, piccolo borgo marinaro all’interno della storia e all’esterno del progresso, questo passaggio solidale è la necessità con il volto del lunedì mattina. La complicità come fondamento “nordico” inscindibile tra lavoro e successo. E per capirlo, basta fare un giro a Palermo e guardare le mogli degli artigiani di successo, con il loro fucsia sulle labbra, i lustrini sul corpetto e i pantaloni stretch ad affondare un culo dilaniato dai cannoli…
E per stare sempre sulla corda, Santi (che ha da poco aperto in Normandia e a breve aprirà a Barcellona) si è portato in casa Giovanni Pace, togliendolo dalla consulenza. Da Biasetto a Zoia, da Hermè a Bau, fino a Iginio Massari, che lo completa sui lieviti e i loro legami. Messo a capo della pasticceria e delle paste lievitate, Giovanni inizia la produzione di colombe e panettoni, delle autentiche novità a quelle latitudini.

E i prodotti di partenza (dato che il mese di maggio non è il migliore per determinati dolci…) li riesco a percepire nella meno tipica delle “brioscine” siciliane. Quelle per il gelato, quelle a cui, nel palermitano, viene tolto il “pallino”: lievito madre, fragranza di agrumi, miele di arancio, farina Dallagiovanna, uova e burro francese. 
La prova del naso è un deliquio per i mie sensi. Che colgono molto oltre il sorriso di Santi… Qualcosa di assolutamente eccezionale…
Il suo laboratorio ha qualcosa di geometrico e di selettivo. Poco siciliano, come il tenore delle voci e gli orari lavorativi, come la predilezione per il sale all’interno del dolce, e molto siciliano, come la naturalezza della pasta di mandorla o di quei pasticcini che non puoi fare a meno di riportare ad altre vetrine palermitane… fino al momento dell’assaggio: cestino di croccante con panna e frutti di bosco, semplice, urbano, già visto e sezionato… ma io sono rimasto stregato, sconvolto, addirittura lucrato della mia arroganza… straordinario… così come quelle sfogliatelle dove, oltre la ricotta, sporgono i fiori d’arancio o quella torta (profumo di zagara) che ribalta la sicilianità della ricotta, del pistacchio e degli agrumi, con una geniale quanto raffinata fragranza di latte condensato… rarissima da assemblare…

E quando mi allontano, dopo gli abbracci, dopo le presentazioni ufficiali e dopo i libri con la saga di una famiglia, mi accorgo di un velo di felicità tenuta nascosta dietro i propri doveri…
…vent’anni, gli errori abortiti nel cestino, il torvo scandire delle lancette ben oltre la mezzanotte e la solitudine di due mani…

PASTICCERIA PALAZZOLO
VIA NAZIONALE, 123
CINISI (PA)

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