Quella scelta che definisce nei confronti del mondo… Mauro Musso

Alba. Casa dei Tajarin. Quando ci salutiamo, il suo viso mostra serietà e rispetto. Non per me, ma per il lavoro che sta portando a termine. Abbiamo gavazzato allegramente per sette ore, ma probabilmente cogliamo il momento peggiore per andarcene. Quello della mancanza di tempo e, conseguentemente, della mancanza di attenzione. Mauro sta preparando le caserecce alla segale e non può proprio abbandonarle. Sarebbe un affronto al suo lavoro, ai soldi spesi, ma soprattutto al buono. Quello che non riesci proprio a tenere dentro, quello che ti esce, che scappa, che svicola al progetto di essere uomo. Quello che appare negli occhi, che senti sibillare nelle orecchie dalle persone che ti seguono e quello che il tuo palato non può fare a meno di trasformare in rossore.
“Scusa Mauro si è fatto tardi”. Chiudiamo la porta. Si apre il cancello per fare uscire le automobili e una luce filtra attraverso i buchi delle tapparelle di una stanza, in cui uno straordinario pastificatore continua con la sua sedia, il suo cappello, il suo maglione e le quattro mura che ha intorno, nella convinzione di avere intrapreso la strada giusta, quella che vedi riflettere negli occhi degli anziani quando parlano del “loro tempo” e delle loro tradizioni. Un cenno d’intesa e una materia prima che, se trattata per mantenerne la vitalità, non può mai ingannare.
Nemmeno quella volta che… meno di quattro anni fa (a pochi mesi dall’apertura), durante un piccolo mercato a Pinerolo, si dimenticò a casa il gazzebo e dovette buttare le prime due file di tajarin perchè arse dal sole… oltre ad averne venduti, agli illuminati astanti, solamente due pacchi.
Le materie prime non dovevano essere tradite, in un passaggio etico e medievale allo stesso tempo. La fiducia non aveva ancora trasformato i frutti in denaro, ma gli investimenti fatti e la certezza della strada presa non potevano non aver nulla da dire.
Pochi mesi dopo. Cascina Pistone. Presenza lontana di tajarin. Arrivo improvviso. Eugenio Pol. L’apparizione è qualcosa di oltre modo escatologico, una manna riassumerebbe bene, ma lascerebbe comunque qualcosa da espiare…
I formaggi di Silvio Pistone non sono ancora in produzione. Con cosa si pranza? Ecco lì, come rugiada nel deserto, la pasta di Mauro. Eugenio la mangia e la porta a casa.
Ne cucina due etti e mezzo in solitudine. Chiaramente non la finisce. La “ravviva” due giorni dopo. Eccezionale. Il Pr Eugenio Pol si mette all’opera. Alcuni ristoranti ed alcuni chef iniziano ad accorgersi di qualcosa di diverso, di uno studio applicato ai cereali e alla cultura contadina fatto da… un contadino, diventato cassiere e trasformatosi, per necessità di bellezza, in pastaio.
1994. Tra Alba e Borgomale. Cascina di famiglia. Lavoro e casa. Alluvione ed esondazione del Tanaro. Tutto è andato distrutto. Nessun lavoro e nessuna casa. La ricostruzione è lenta, quasi impossibile. Mauro trova posto nella grande distribuzione. Dopo qualche anno, alla soglia del “non so dove e non so perchè”, si trova di fronte ad una scelta “O faccio una strage, o cambio lavoro”. Ed eccolo lì Mauro Musso, un uomo molto più vicino all’origine che alla meta, sospeso tra solitudine ed incredulità.
Il mio Virgilio delle Langhe, tra baroli, grandi casari, degustazioni di pane e racconti ancestrali, quelli che non hai mai avuto quand’eri bambino e quelli che ti mettono i brividi per la forza di verità che sprigionano.
Occhiali demodè anni ottanta, maglioni intercambiabili ed intercromatici su un viso che non può fare altro che attendere il compimento di un processo. La sua gentilezza e il suo modo di essere così anomalo, anche all’interno di un mondo, quello dei produttori, così vicino alla scelta, riportano ad un’attesa totemica ed atavica verso il territorio, l’unico che non può essere abiurato, quello che rimane anche nella mancanza di riconoscenza e nell’imprevidibilità della stupidità umana…
Ed eccolo nuovamente lì, a cucinare, all’interno del suo laboratorio-negozio, tre tipologie di pasta con tre sughi (di cui due, il pesto e quello alle melanzane, preparati da sua madre…) differenti.

– Farine del Mulino Marino (manitoba, buratto, zero e zero-zero, enkir e forse il farro dicocco), molta attenzione verso la Sicilia, dal Molino della Contea a Modica (per il Russello) a Giuseppe Li Rosi, un ideologo introvabile (per Margherito, Tumminia e forse anche il Senatore Cappelli) e una segale bianca, recapitata, attraverso l’ennesimo satorichiamato Eugenio Pol, da un mulino austriaco, che emana un profumo illibato…
Uova di bianca livornese di Antonio Mana e farina per i tajarin (dove la grandezza dell’uovo diviene fondamentale. L’albume è il vero segreto di questa tipologia di pasta. 
Il vero collante, quello che funge da contesto a tutta la preparazione. “Ma quelle teste vuote… e non dico le persone normali che mediamente non capiscono un cazzo… quelli che li preparano… quelli importanti… utilizzano quasi esclusivamente il tuorlo…”. Ed effettivamente quel bel giallo scuolabus della pasta all’uovo italica è un catalizzatore della compera facile e della reazione pavloviana…), mix di sette erbe, vino bianco e gin per le sue fantasie, solo acqua e farina per le caserecce. 
Tutto il resto si compone di alchimie, umidità, temperature, giusti bilanciamenti e un gusto da mantenere in equilibrio. 
Circa nove ore di essiccatura, sacchetti che spaziano dal mezzo kilo ai due kili (“belli pieni, sembra che abbiano la pancia…”) e il prodotto finale si manifesta.
Sughi e paste differenti creano un connubio. Dal monococco al dicocco, dal buratto al Senatore Cappelli, ognuna con i suoi tempi, i suoi condimenti e le sue accezioni.
Rilasciano una naturalità che va oltre la forza di un sugo. Una segale bianca che riesce a resistere e a rimanere nel gusto, finanche nel retrogusto, ”nonostante” sia condita con un sugo al pesto “rivisto” (con aggiunta di nocciole), è qualcosa che sorprende più di qualsiasi bontà. Il contesto diventa testo. Il sugo diventa un succedaneo per non forzare la pasta (termine improprio, perchè in Italia il termine pasta può essere utilizzato solo per la pastificazione di semole di grano duro, ma tant’è…) in una direzione non sua. Focalizzare la centralità del ricordo e degli afrori su quello che è bistrattato come un “neutro” (la stessa pasta), spersonalizzante e camaleontico (uno Zelig alleniano buono per ogni stagione e perversione…), è qualcosa di impossibile da condividere. Mi sono sentito refrattario e solo. 
Niente a che vedere con nessuna delle sue sorelle. Resiste nel tempo. Profuma di grano. “Se avesse una faccia, avrebbe quella che ha” e potrebbe ricordare le nonne o la lentezza… potrebbe…

… eppure la bontà deve sempre seguire la salubrità… Dove c’è il gusto, ci deve essere natura, ma dove c’è natura, molte volte, si nasconde la ragione che trae beneficio e profitto…
E se si partisse da qui, non se ne ricaverebbe una filosofia, ma solo silenzio. E lì c’è Mauro con la sua parola sempre a tracolla…

CASA DEI TAJARIN
VIALE CHERASCA, 94
ALBA (CN)

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