Se esistono ancora gli enfant prodige… Davide Comaschi

Milano. Pasticceria Martesana. Difficilmente se ne trovano di più belle. Organizzata e strutturata. Banconi, bar, vetrine, laboratorio e cucina. Dalla mattina all’aperitivo, il milanese può farsi avvolgere e coccolare, ancorchè la location sia un po’ in periferia… …così da attirare una clientela che viene, ritorna, rimane e poi racconta… in modo che il nuovo che arriva… ritorna, rimane e poi racconta… In questa maniera via Cagliero, tra Melchiorre Gioia e il Villaggio dei Giornalisti, ogni giorno, apre gli occhi di fronte alla migliore pasticceria di Milano… con la seconda che arriva quarta. 
Gli sforzi non sono bastati, nemmeno i soldi investiti e neanche la qualità… è servito avere un cuore, accogliere e saper comunicare… e non c’è stato bisogno di belle facce, gonne corte, silhouette mozzafiato e decollete “che è già un preliminare”, è servita l’anima di una famiglia, i Santoro (arrivati dalla Puglia da più di cinquant’anni con la più classica delle valigie di cartone), che ha inteso come la pasticceria fosse sacrificio da dove far derivare l’immagine e non viceversa. Ora, e altrove, s’investono soldi in specchi, tavoli Luigi XV, pareti damascate e banconi mosaicizzati e poi si chiama Pasticcio il pasticcere che possa sfornare deliziose torte allo zucchero invertito e panettoni ai
mono-digliceridi.
Vincenzo Santoro ha invece deciso di investire su Davide Comaschi che ha scelto lo zabaione al posto delle figurine e il lievito al posto dei cartoni animati. A 13 anni si è presentato come stagista… e la cosa bella è che lo ha fatto di sua spontanea volontà. Ora vola per i trentadue e, se riuscirà a vincere i campionati italiani, si presenterà, nell’autunno del 2013, al mondiale di cioccolateria a Parigi, allenato da… squilli di trombe e gonfaloni nel cielo… Iginio Massari.
Ed ecco lì che il maestro diventa uomo e ritorna maestro. Né la sapienza, né la cultura e nemmeno il palato assoluto, quello che il Maestro gli ha maggiormente concesso è un rapporto umano. Davide non pensa a sé, al suo ego o al suo modo di mettersi in mostra, l’unica cosa che mi chiede è di raccontare l’importanza di Massari per i giovani pasticceri (chissà quanti, però, che lavorano in un retrobottega con margarina e surrogati vari, hanno o avranno la possibilità della cultura e della perfettibilità…) e per la pasticceria italiana, quel sogno futuro di aprire un locale (alla maniera di Pierre Hermè), dove pasticceri, tecnici, scienziati e intellettuali possano scambiarsi dati, esperienze e gusti nella concertazione della bellezza.
Davide è un ragazzo che al secondo impatto smentisce il primo e cha al terzo smentisce il secondo. Sembra timido ma è solo laconico. Le sue risposte non azzardano, non fantasticano e non dirompono, rimangono circostanziate alla questione in essere.
È un grande ascoltatore, e se non capisce la direzione delle richieste, non si fa problemi a chiedere, magari gelando un momento di malcelato empasse. La sua storia si dipana tra la Pasticceria Martesana e l’esperienza in solitaria in quel di Vignate, positiva ed in costante e rapida ascesa finchè non si è accorto che il socio rubava dalla cassa: e quando la preoccupazione dell’imprenditoria distrae dall’artigianale pensiero della crema chantilly o delle paste lievitate, gli argini divelti dalla furbizia tendono a preferire un percorso già conosciuto, magari più lento, ma più corroborante. Ritorno alla pasticceria Martesana. Disegni di cioccolato, pasticceria tout court e gestione del laboratorio.
Ecco un trentunenne che è tornato a svegliarsi la mattina con le mani desiderose di creare e di insegnare.
L’ultimo degli stagisti può sempre risvegliarlo da un errore o da un dogma, quindi non può mai lasciare le orecchie a casa e l’arroganza al Mondiale, le sue mattine e i suoi pomeriggi (anche quelli passati a diciottanni anni, oltre l’orario di lavoro, a creare, imparare, modellare e almanaccare sul “chissà se, quella notte d’inverno, Il Pasticcere gli avrebbe mai detto che il suo fiore di zucchero era il più bello che avesse mai visto…) devono sempre essere una crescita. A partire dal dolce, che non è mai uguale al mese prima, che ha sempre quel non so che di raffinato o di complementare che può sempre essere ricercato.
Davide non sorride, ma ride di gusto, questa cosa ha messo la comunicazione su un piano differente. È ironico, ma senza realismo. Ha una concretezza che spiazza anche nell’attesa di un giudizio ad un pasticcino al tiramisù… non chiede e non passa oltre, dando per scontata la bontà, ma prova a cercarla negli occhi… poi si rilassa ma non risponde, attende il retrogusto dell’altro per passare oltre. “Pulisciti la bocca con l’acqua!”. Ecco la filosofia dello sguardo che dilania, a metà tra uno splatterone tarantiniano e la vanità dell’Ecclesiaste. Rimango intontito e proseguo…

Nel controllo della materia prima, che non prescinde dai grandi classici Agrimontana, Domori, Valrhona e Dallagiovanna, ha deciso che il mascarpone, per determinate creazioni, sarebbe stato prodotto all’interno del laboratorio. E così è stato. A partire dalla panna. È un neutro di una rara delicatezza. Dolce e salato. Non li esalta ma li accompagna con quella cadenza acida che, innanzitutto, toglie. E continua a sottrarre dolce e sapido, fino a piatto pulito e a necessità di un altro assaggio. Bianco: alta luminosità nessuna tinta e nessun confine… 

   I suoi dolci sono schietti con poche finzioni e meno imperfezioni. La lievitazione riporta odori di classicità: lievito legato nella migliore tradizione Massari-Zoia, poca acidità e molta pazienza. Le creazioni che ne derivano sono le classiche. 

   – Il panettone lo provo solamente ad un evento novembrino, in glicemia spinta e palato disossato dai troppi assaggi, e non capisco un granchè. Annoto solo che mi pare troppo dolce. Ma nelle difficoltà, è meglio giudicare se stessi e non il prossimo…

   – Mi rifaccio con la colomba. Le dosi degli ingredienti rispetto al panettone, a differenza di altri grandi pasticceri, sono le medesime. L’assaggio in varie maniere. 
Con il mascarpone, con una crema pasticcera particolarmente vanigliata e soave per la nuvola aromatica che espande nell’aria, e infine “santa”, senza l’aggiunta di nulla: un equilibrio perfetto tra burro e farina rilascia una sofficezza perfetta, una delle migliori mai riscontrate. Scorza d’arancia e vaniglia si accordano al gusto. Molto classica anche nella ghiaccia (che  la ricopre in maniera rapsodica ma precisa). Un sapore molto elegante, ma un filo tradizionale nella dolcezza che è un po’ oltre il mio desiderio.

  La quantità di torte e piccola pasticceria è in continua rotazione, oltre qualunque possibilità umana del carpe diem. 

  – Crema allo zabaione straordinaria, senza nessun retrogusto e retro olfatto. L’uovo termina nel palato l’essenza di un gusto così aereo da sembrare contemporaneo. 

  – La pasta di mandorla (con cui creano delle pecore pasquali che mi riportano alla tradizione siciliana) è una delle migliori mai provate. Non serve granchè, bastano sobrietà e sottrazione. 

Tutto il resto sono assaggi mancati all’interno di una certezza… Trovarmi di fronte ad un grande pasticcere, innanzitutto nei modi e negli intenti, un ragazzo che ha posto l’asticella talmente in alto da porsi dall’altra parte della similitudine e della testimonianza… come demiurgo e non come mimesi…

PASTICCERIA MARTESANA
VIA CAGLIERO, 14
MILANO (MI)

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