Un allevatore, mille racconti… Davide Del Curto

Piuro. Poco oltre Chiavenna e poco prima della Svizzera. Questioni di prospettive. Strada per Sankt Moritz, boschi, cascate e un sistema idrografico talmente complesso da rimanere distante da spiegazioni, fascini e interazioni. Al di là dello spartiacque alpino, la geo-antropo-morfia dirime le acque in tre direzioni: il bacino del Mare del Nord (attraverso il Reno di Lei), il Po-Mar Mediterraneo (attraverso gli affluenti dell’Adda) e il Danubio-Mar Nero, attraverso i poco lontani affluenti dell’Inn. Al posto delle prostitute, al trivio ci sono i ghiacciai e, così, arrivato a Piuro, ormai un guazzabuglio di frazioni, mi trovo in balìa delle cascate. Ecco Borgonuovo, l’immagine piurasca della ricostruzione. La frana del 1618 si è portata con sé cultura, palazzi, nobiltà, differenze, prosperità e i suoi famosi mercanti.

Qui, Davide Del Curto, all’ombra della cascata dell’Acquafraggia e della frazione di Savogno, nucleo su un crinale della Val Bregaglia che riporta all’origine del cognome Del Curto e che non lascia dietro di sé che ricordi e una mulattiera, ha deciso di formare la sua azienda agricola. L’acqua è alle radici di quel che resta. La miglior regola possibile…

Prescindendo dal panorama e da due turisti – a metà strada tra Segrate e Termini, convinti di essere nel suq di Fes, tra improvvisati venditori, ciarlatani con le teiere in mano e donne in profilo da danzatrici ventrali – che non riescono a scendere a patti con la mia voglia di silenzio, mi trovo tra le mani di un casaro/allevatore, assolutamente difforme da ogni genere di aspettative e luoghi comuni.

Una dialettica da non-imparato, una di quelle comunicazioni che si acquisiscono tra le rocce e i laghi, un discorrere antitetico… per due ore molto al di là di qualunque libro o di qualunque opera. Il progetto di Davide è una consecutio temporum, fuori da qualunque sistema, capace di tenermi in estasiato silenzio il tempo prima dell’assaggio… di qualunque assaggio…

Queste, storicamente, non sono le valli del Bitto. Qui, un clericale, in missione dalla Val Gerola, ad inizio ‘900, ha portato la cultura del grasso d’Alpe. Qui si facevano casera e latteria, quello che Davide ha ridefinito magnoca (semplicemente formaggio in dialetto locale) e che il tempo e l’opportunismo hanno trasformato in un prodotto tipico. Quello per i pizzoccheri. Una pasta semicotta, da latte intero, con due differenti sviluppi: per il fresco (con una cottura della cagliata a temperature più basse e uno straordinario palato di panna e fieno) e per lo stagionato (un paio di mesi, più sapido, con occhiature più asciutte e la crosta fiorita). E quando si scopre la bontà della lunga stagionatura, la possibilità di un alpeggio diverso e di sentori nuovi, si scopre il Bitto. Fiume che taglia la Val Gerola, adesso appannaggio di una banda di ribelli che lo tutela più dall’olografia che dalla vecchiaia (le puzze di stantìo nei formaggi di alcuni anziani dell’associazione sono lì da provare), è un formaggio preda di qualunque alpeggiatore abbia deciso di caseificare lungo tutto il “Piccolo Tibet Italiano”. Con sputtanamento e prezzi stracciati annessi. Così Davide ha deciso di portare su le sue 30/40 brune alpine (ha deciso di fare a meno delle frisone…) in Alpeggio in Val di Lei, dove suo fratello ha aperto una baita con ristorazione e cantine di stagionatura annesse.

Il Bitto stagiona come nessun altro formaggio italiano, forse come nessun altro formaggio al mondo. Ma la credenza che Gerola Alta abbia quel clima dove “dieci anni d’invecchiamento danno gli stessi risultati dei tre di fondo valle”, è un filo forzata. Apriamo l’alpeggio del 2010 (ma in cantina ci sono ancora forme del 2005 che aspettano l’arrivo di qualche nipotino…), quando già aveva smesso di caseificare anche il latte di capra orobica (troppo dispendioso, ma assolutamente straordinario in aggiunta…): occhiature prosciugate dall’affinamento, giallo intenso, al naso molta erba ma poco fiorito, la struttura è compatta; in bocca, superata un filo di piccantezza, si manteca in mille aromi differenti. La dolcezza finale, di un prodotto di tre anni, è qualcosa di assoluto, di unico e straordinario. Valli del Bitto o non Valli del Bitto. Il formaggio bisogna saperlo fare (… Marco Vaghi in questo insegna…) e Davide Del Curto lo sa fare. La gioventù del Bitto è lasciata agli accoppiamenti (i Pizzoccheri per dirne uno…) o alla tavola. Pernici allargate e masticabilità.

Davide, nei suoi racconti sulle stagioni, sul genius loci, sul terroir, sulla cultura del posto e degli anziani, sull’importanza dell’acqua e dei laghi, della solitudine e della cultura, continua a camminare attraverso le sue stanze e i suoi luoghi. Dalle cantine alla stalla, ristrutturata in legno con un mungitore automatizzato per rispettare il benessere degli animali (fieno in parte autoprodotto, pascolo anche primaverile, mangime e niente insilati…) fino al caseificio. Vasche in rame, fascere in legno e tutto quello che comporta fare magnoca ma soprattutto casera: rispettoso della tradizione, un anno di stagionatura, sapore deciso, proteolisi dell’unghia e una quotidianità fatta di valli, sveglie alle cinque e ombra nove mesi all’anno. Lievissima scrematura, piccole occhiature e pochissima umidità al naso. Anche qui, stiamo parlando di una rarità…

Il primogenito Gianmaria, ogni tanto spunta, ma nella sua timidezza/disinteresse continua a lavorare e a schivare la vecchiaia, nonostatnte suo padre provi a coinvolgerlo in prima persona. Normalità che, metropolitanamente, si tradurrebbe in PlayStation e cuffie nell’orecchio.

Davide è ormai un’atmosfera. Anche quando parla del paese di sua moglie, raggiungibile solo a piedi, anche quando mi indica al di là delle rocce un lago dove una volta si alpeggiava, e anche quando mostra con orgoglio le bestie vincitrici delle varie mostre. Siamo rimasti lì, scolpiti in tradizioni senza noia, senza emotività, senza quell’empatia da voce profonda o da esperienze millenarie, siamo rimasti lì incantati da una persona che se avesse studiato, avrebbe imparato la metà delle cose…

 

AZIENDA AGRICOLA DEL CURTO GIANMARIA

VIA MEZZADOI 11

BORGONUOVO DI PIURO (SO)

del curto Davide

ciao Nicolò
rileggo l’articolo dopo anni…..
Tu scrivi in modo fantastico
Io non merito tanto…. credo di più la mia famiglia….
Grazie di cuore
Davide

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *