Un gelato che domanda… Alberto Marchetti

Torino. A metà strada tra fine gennaio e fine aprile. Due stagioni. Le foglie non cadono più. La pazienza di essere pervaso da domande, lascia spazio al suo lavoro. Alla sua bottega. Veramente contenuta, rispetto alla quantità di gelato prodotto e al valzer tra macchinari, commesse e il sarcasmo fascinoso e intelligente della moglie. Che ha lasciato l’architettura per accompagnare un Maestro al di là della siepe… così da vedere che cosa fosse possibile trovarci, tra successi, soddisfazioni, bambini sorridenti, clienti indecorosi, coni limone e fior di latte (magari con una spolverata di panna montata per platonizzare il concetto di acidità) ma soprattutto bellezza. Un sorriso meno doveroso del marito che condiscende al giudizio altrui sempre come fosse qualcosa su cui ragionare, da dove far sorgere un dubbio.
Alberto ancora si stupisce quando racconta del gelato al fiordilatte affumicato da accompagnare ad un salmone cucinato da Igor Macchia… ma senza vanagloria o sussiego ma con l’umiltà di domandare, di vedere se nello sguardo dell’interlocutore si manifesta interesse, meraviglia o semplice elegia della circostanza… magari con un cenno del capo corrivo e indifferente. Ecco, Alberto Marchetti è ancora una persona in grado di sorridere al prossimo, senza nessuna contro indicazione…
Non credo che il tono della sua voce si possa alzare o, almeno, non credo che possa installarsi al livello della sua curiosità. Prende in mano la cartella degli ingredienti e mi chiede che cosa mi farebbe storcere il naso, quale ingrediente mi farebbe pensare che abbia preso piede la via della conservazione e della lunga durata, quale zucchero (oltre il destrosio e il saccarosio) lascierebbe intatto il senso di purezza del suo gelato. “Perchè non sono totalmente convinto della consistenza”, mi dice. Io lo guardo torvo, come Fernanda Pivano guardò Ernest Hemingway, dopo aver raccolto un foglio dal cestino (pensando che non sarebbe mai stata in grado nemmeno di avvicinarsi a qualcosa di simile), mentre lui le diceva “butto questa pagina perchè c’era una parola discordante con tutto il resto… e non l’ho trovata”. Un uomo alla ricerca di una perfettibilità di qualcosa di intimamente setoso e uniforme.
La sua storia si sta espandendo. La Liguria, Alassio per la precisione, sarà la  prossima terra di conquista. Intanto ha iniziato la collaborazione con la Cascina Fontanacervo da cui prende il latte e la panna, con cui traccia diramazioni molto rare a queste latitudini.

Una panna densa, quasi grezza, con alveoli profondi e un gusto che mi riporta subito alla mia infanzia e alla Sicilia delle latterie sui Nebrodi a stretto contatto con l’odore dell’umidità e dei gelsomini. Il fior di latte, invece, ha dalla sua quella freschezza che toglie l’irruenza del gusto per lasciargli la comprimarietà del contesto. 

Alberto si ripara dai complimenti e dalla processione che, in ieratica ritualità, si sussegue di fronte alle sue carapine e alle ragazze in continuo fermento nel cambio d’abito e di gusto…
… (gusto) che i suoi occhi, proprio perchè non possono utilizzare le parole, riescono a dissimulare male in un’incertezza o in una modestia… Impressiona perchè è una riuscita ricerca dell’orgine…
Prescindendo dalle ottime materie prime (e anche sulla nocciola di Pariani, che non mi convince a priori fino in fondo, riscontro una fragranza rara, anche al di là del freddo che ghiaccia le narici e interrompe la fioritura…) e dal fatto che non usi nulla più dello stato brado davanti a cui si trova ogni mattina e ad ogni creazione, il gelato di Alberto è veramente qualcosa di prezioso.

– Basta assaggiare la fragola, odorosa e antica, che riporta ai gelatieri di strada quando le strade erano ancora luoghi di compere e contrattazioni. Color rosso fragola, e questo è forse il suo carattere più paradossale, aspra e con un sentore di acqua appena percettibile… A filo con quella di Cappadonia. Un assoluto.
  – Il mandarino ha quel colore che non rinfresca ma fa pensare. Quell’arancione, con quella buccia grattuggiata che regala fragranza non intaccando il gusto che è molto lontano da una tradizione e da una gentilezza piemontese. È netto e incisivo, non ha una sfumatura dove nascondersi. 
  E così si alternano la nocciola, un profumo veramente eccezionale rispetto ad un gusto che non mi persuade del tutto, il pistacchio, nell’empireo dei pistacchi, con quell’eleganza e quel totale disinteresse verso una certificazione brontese (che non avrebbe ragione d’essere visto l’inutilità di uno schermo dietro cui ripararsi), lo zabaione, che non ha solo l’immensa qualità di suddividere, al palato, la sua composizione e i suoi sapori, lasciando essere l’uovo, Uovo (a differenza della crema che, con la sua suadente – causa di gusti deteriori e clienti con il mandolino il mano e il sole sempre in bocca – carica di buccia di limone, perde in incisività e profondità… restando “solo” un gelato rinfrescante), ma ha soprattutto quella di riportarmi a cucchiaini sbattuti su terrine di ceramica rugose ed emotive come può solo essere la domanda iniziata con “Gioia mia”.

E così Alberto non provoca, non divelte gli argini delle sicurezze, ma le porta in profondità, a dei legami più forti, ancestrali. Che, pur non essendo mai passati dall’altro lato, quello dell’origine del gusto, esistono nella potenza di un palato maieutico e ombroso.

Il malto d’orzo (molto complesso e amaro) e la farina bona riportano alla terra, mentre il cioccolato, nella sua declinazione extra fondente, è il miglior gelato al cioccolato in cui, fino ad ora, mi sia mai imbattuto. Non serve corredarlo con aggettivi che fuorvierebbero. Questo basta a se stesso ed è veramente tutto.

Alberto Marchetti è un sarto del gusto, una di quelle persone che si tira fuori. Il suo modo di estraniarsi dalla gara, diventando spettatore, ha quel rimando pitagorico per cui capire la natura diventa molto più importante che farne parte. Si pone fuori, riesce a leggere le capacità estetiche delle persone e rientra nel processo. Solo così può iniziare a creare. Con gentilezza e coscienza critica.

ALBERTO MARCHETTI
CORSO VITTORIO EMANUELE II, 24 BIS
TORINO (TO)

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