Un istante dall’eco nostalgica… Mirko Delbianco

Montespino. Vallata, frazione o via di Mondaino. Insomma, alla sinistra di una strada tortuosa che non permette quasi le indicazioni. Qui, l’andamento sonnacchioso delle curve fa assomigliare un po’ tutto. Quello che capisco è l’identità di una giornata fuori dal comune, una di quelle che ti si avvinghiano addosso, con nostalgia e malinconia, nei medesimi istanti in cui le stai vivendo. Più per il lunedì mattina che ti perderai che per tormentate analisi e differenze tra la compagna città e la remota campagna. In mezzo a qualche casa diroccata, all’interno della valle del fiume Conca e immerso in campi di trifoglio, pratoline e ginestre, si stagliano un paio di edifici, non particolarmente suadenti e nemmeno invitanti. Si andrebbe dritto, ma la mia guida specializzata in sapore, mi invita ad attendere. Manco due minuti, e arriva una jeep, con due men in yellow, di tutto punto vestiti con tuta e scafandro da apicoltori giunti vittoriosi, dopo aver sgominato una pericolosa banda di api ligustiche.
Tolte le protezioni, proviamo ad intessere un dialogo. Mirko vorrebbe, ma noi siamo in stress da produttori, quella sensazione da viaggio con meta, che toglie un po’ di poesia e mette un po’ d’ansia… Lui è come se intuisse, si libera di tutta l’armatura, capisce che non possiamo, quasi in maniera categorica, andare con lui a vedere i campi di cicerchia, le arnie, le tavole e tutto il suo mondo, di gentile creatore di situazioni, e prova a trasformare una mezz’ora (quel tempo spurio che non basta nemmeno per apparecchiare una tavola…) in un pasto completo. Partiamo…
Farine, cereali, miele, lenticchie e cicerchia, qualche prodotto non convenzionale, qualche mistura alchimistica, ma tutto sapientemente sotteso ad una semplicità di prodotto. Niente antibiotici, nessun additivo chimico e nemmeno conservanti. Il biologico è una realtà prima passionale che certificata. Mirko la persegue come fosse qualcosa di estremamente naturale: suo padre passa dai campi di lenticchie a strappare le erbacce, solo per il desiderio di farsi una passeggiata…
Il mulino, che accoglie i cereali, è molto piccolo, basta a se stesso, alla vendita diretta e a qualche ristorante amico. La tramoggia in legno e la macinazione a pietra sarebbero fascinose se avessero il tempo per mostrare il loro lavoro, qui lasciano qualche parola nell’aria e qualche domanda…

Grano tenero, duro ed etrusco (cioè del Faraone, cioè Kamut italiano… vivaddio) , farro dicocco, farro spelta e orzo: questa è la scelta, o in chicchi o macinati, hanno qualcosa di speciale, un po’ per il loro essere grezzi, selvaggi ed estremamente odorosi, un po’, è questo è il caso del farro grande (spelta), per la rarità (arriva quasi tutto dall’Europa Centrale) e per il colore scuro e il sapore forte e desueto.

Cicerchia e lenticchie di Castelluccio: “carne dei poveretti” e presa per il culo delle botteghe del gusto. Due definizioni e due gusti territoriali (con sapori ormai divelti…), di un territorio che è stato defraudato e venduto. Dove, al posto della sostanza, è rimasto un’evanescente nomenclatura da “pata negra tagliato al coltello”. Castelluccio è come Bronte e le sue sementi pure…
Penetrando nelle stanze, sento un forte odore di miele. I favi ne sono ancora impregnati. Mirko stacca dei pezzi di cera e ce li porge. La dolcezza dell’acacia, privata dell’incorporazione delle bollicine d’aria dovuta alla centrifuga, mantiene sapori e aromi molto profondi che il favo di cera nuovo esalta al massimo grado.
Mirko guarda i nostri volti. Non li decripta. Prende quattro vasetti di vetro e inizia a sciacquarli. Poi li riempie di idromele. Alcolico, secco, ma non troppo adatto al mio palato. Ecco… chi se ne frega, poteva anche essere acquaragia… tutto, il rito, il mito e la convivialità si sono svolti prima… nella mescita all’interno del vasetto, nel brindisi stupefatto e negli occhi di chi non ha tempo e in cambio riceve un dono… Questo topos è la semplicità di qualcosa di non previsto…

Mentre mi avvicino all’uscita e lo sto per salutare, noto una latta di pasta di nocciole di Jose’ Noè. Epifania delle più classiche. Metto mano al cellulare come volessi chiamare in Piemonte. Lentamente il germe di questa meraviglia si espande. Guardo Mirko stupefatto. Lui sorride e mi mostra un barattolo in vetro. “Nocciolino”. Miele più pasta, in un  rapporto di 85%-15%. Da spalmare sul pane. Toglie la dolcezza, rimane l’austerità di una corteccia e della sua tostatura che dà profondità ad un aroma irripetibile. Strepitoso buquet contadino…

Mirko voprrebbe, io pure, ma probabilmente convoleremo più avanti. Intanto questo. Lo saluto senza vigore e gli confido l’inclinazione. Mi distraggo e non mi ricordo già più nulla… Sfocato e lontano… come la rarità dei suoi prodotti…

L’ORO DEL DAINO
VIA MONTESPINO, 2808
MONDAINO (RN)

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