Un norcino e il suo mondo… Morris Micheli

Sotto il Monte. Il paese di Giovanni XXIII. Papa eponimo che ha lasciato le sue tracce nel nome e nell’anima di un paese. Devoto. Abbarbicato ad una collina e con un cartello segnaletico pitturato di marrone. Qualcosa di storico e, nello stesso tempo, di sonnolento. Mi inoltro all’interno della nuova urbanistica, fatta di villette e case basse che si fanno corte sino al culmine della pieve. Molto verde e una popolazione che oscilla tra anziani e bambini, quelli che ancora hanno vanità a raccogliere aria fresca, senza un obiettivo, che sia un lavoro, una ragazza o una spesa al supermercato.
Un anziano stanco, forse avvinazzato forse no, mi si avvicina, quasi cadendo. Non lo rialzo, ma gli chiedo informazioni. Mi dice che se lo accompagno al Centro Anziani me le mostrerà, altrimenti dovrei affidarmi ad un dialetto bergamasco, privo di segni… Levo gli impicci e lo carico. Lo mollo in mezzo alla strada. In una di queste strutture prefabbricate con l’estetica dei colori pastello come via primaria verso l’inferno e mi dice “sinistra, poi sinistra, poi destra, poi arrivi dalle spose e lo trovi lì davanti”, o qualcosa del genere.
Le spose sono un polo commerciale di outlet e magazzini dove le fanciulle della provincia possono trovare l’abito adatto ai pantaloni “acqua in casa” del proprio fidanzato… Giunto lì, noto come le indicazioni, seguite in maniera pedissequa, si sono rivelate preziose e precise. Finite le fabbriche, inizia la campagna. Ma vado troppo oltre. Torno indietro e mi inoltro in un cancello. Uno di quelli degni della provincia milanese, alle cui spalle ormai non c’è altro che lavoro (quando va bene…). Supero una discesina e mi trovo all’interno di una sorta di fattoria post moderna. Tra abiti da sposa, prefabbricati, campi di granturco, muggiti di vacche e, in lontananza, la Parrocchiale di San Giovanni Battista.
Qui mi aspetta, non particolarmente persuaso dal mio fascino, un ragazzo, Morris Micheli, difficile da inquadrare, probabilmente molto al di là dello stimolo intelletual-filosofico. La bottega è linda. I tagli di carne in bella vista e i salami appesi ai ganci lo dividono dalle mie domande.
Gli chiedo se è timido. Abbassa gli occhi mentre mi risponde. “Non particolarmente”. Non rilancia le mie frasi o le mie provocazioni. Utilizza un gergo molto vicino a quello di un altro grande norcino, Pierino Cipolla, senza quella dialettica fatta di pancia e notti in bianco. Il suo nemico è il chimico. Quella facilità che toglie il gusto e che ha rappreso la volontà di molti macellai bergamaschi (ma Bergamo è solo un’immagine,  nemmeno troppo messa a fuoco, della nostra Italia) ancorchè, in quelle terre, esista ancora la figura del norcino che gira per le cascine e per le case, immolando il maiale a divinità festive e inverni di stagionatura. E così avviene anche da Morris. Molti privati acquistano il maiale intero e se lo fanno macellare direttamente nel macello presente ancora nell’azienda agricola, utile (dopo le leggi che hanno colpito il territorio una decina di anni fa) sì, ma al di qua della vendita. La carne della macelleria e gli stessi affettati devono provenire dal macello pubblico. E il sorriso di Morris viene meno e così anche le sue difese… che iniziano ad intenerirsi in un climax ,alla cui estremità, c’è un punto fermo: sua moglie Melania, il focolare…
Quando arriva, prende in mano la comunicazione. Morris mi aveva condotto attraverso il macello e attraverso le stalle. Maiali pesanti di provenienza danese e vacche di razza limousine e garonnese, sotto la mezza tonnellata. Ma quello che mi lascia interdetto, in una comunicazione rapsodica, è l’attenzione per il bello. Un’enorme botte, ricavata dalle distillerie Branca, adattata a casetta, con vista su campi di granoturco ed erba rada all’inglese. Ma non intendo del tutto.
Melania dirada la nebbia estetica. Ha lasciato il suo lavoro per aiutare Morris. Ha inteso le sue capacità dagli occhi dei clienti. Come quel Marco Locatelli, grande pizzaiolo di Vimercate, che dipana i suoi impasti tra salamelle e salami, estremamente invecchiati (alcuni superano tranquillamente l’anno).
Ogni tanto entra qualche cliente, aumenta la velocità di conversazione, si sviluppa una sorta di freestyle dialettale, difficle da seguire. Ad un certo punto, entra un ristoratore di Villa d’Adda. Mi dice di avere bisogno di giornalisti (in una frase impostata con un sarcasmo che mi lascia secco…) e mi invita a seguirlo. Guardo Melania ma mi dice di non esserci mai stata. Pare facciano degli ottimi casoncelli, di cui scopro l’originale ricetta (con il ripieno composto di uvette e amaretti, oltre alla carne), e realizzo di essere sempre stato raggirato, avendoli mangiati in diverse occasioni, sempre con un ripieno riveduto, corretto, tradito e rabberciato. E pare che ci sia una stradina impervia… Desisto ma mi riservo di tornarci…

Intanto l’affettatrice inizia a muoversi e a tagliare una pancetta, molto vivida nel suo bianco. Me ne viene offerta una fetta. E lì il mio stato d’animo inizia a cambiare. Ero lì per il salame. La carne l’avevo guardata di straforo, soprattutto con gli occhi delle clienti che la chiedevano, ostinandosi nella preghiera di uno sconto, di arrosti e braciole magre e di pezzi rosso vivido e poco ossidati. Il resto non l’avevo preso in considerazione. Vengo ricacciato indietro da un sapore strabordante. La ricetta, e Morris qui si apre in un sorriso senza requie, se la tiene per sè. Melania mi rivela poco, ma il sapore di noce moscata mi corrobora l’animo. Scioglievole e antica, con quella speziatura orientale, molto lontana dalle mode. Una pancetta che definisce il mio pomeriggio.
Il salame, quattro mesi di stagionatura, nessuna aggiunta che non sia salnitro e qualche aroma, è un grande salame. Qualcosa di conosciuto, in un solco di tradizionalità, con un gusto sapido e fatto a regola d’arte per la piacevolezza. Non mi stupisce, ma denota una precisione filologica, sia nella grana del grasso, sia nella struttura delle fragranze e del gusto. Che non deborda nemmeno nelle salamelle, veramente eccezionali, nella loro semplicità. 

Morris, con il suo motore diesel, ogni minuto che passa, si apre vieppiù alla confidenza. Comincia a proferire qualche critica e, rafforzato dalla presenza di Melania, mi racconta della sua passione, trasmessagli dal nonno norcino e di come per lui sia stata una scelta, sempre seguita dalla felicità. I soldi e le grandinate lo turbano il giusto. Quel mondo di solitudine, in compagnia di maiali e coltelli, definisce il suo mondo più di qualunque parola, racconto o chiacchiera…

AZIENDA AGRICOLA MORRIS MICHELI
VIA CA’ BALINO, 1
SOTTO IL MONTE (BG)

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