Un’oasi nel deserto… Corrado Benedetti

Croce dello Schioppo. Una contrada che punta in basso. Nel comune di Sant’Anna d’Alfaedo, dove appaiono cave di pietra, cappelli rubati dal guardaroba di Slash dei Guns n’ Roses, birre heineken, pascoli e concerti alle sei di pomeriggio, dentro quello che sarà un ristorante di ricerca, quantomeno delle tradizioni, ma che oggi è una roadhouse su uno spiazzo, a cui mancano solo i camion carichi di tronchi, le camicie da boscaiolo e magari una serial killer donna. 
Di là da venire ci potrebbe essere un’idea di turismo, che guarda al Trentino, alla sua media montagna e alla sua capacità di costruirsi un’immagine e un fascino. Ma per ora, e fortunatamente, alla Lessinia è rimasta addosso la cisposità della mattina, quella che fa fatica a portare a fondo la giornata senza un mal di testa o una nevrosi.
Ecco, le strade che collegano Sant’Anna ad Erbezzo ed Erbezzo a Bosco Chiesanuova sono una miscellanea rapsodica di curve, verde assoluto, rocce pungenti e balconi infiorati. Qui si nascondevano i Cimbri. Personaggi lontani dal nostro modo di conoscere la storia, che hanno regalato il riserbo alle generazioni a venire. Qui non c’è clamore, ci sono solo stradine sterrate che conducono a diversi alpeggi. Abbandonati, fortificati, vissuti. Qui si faceva e si fa il burro e qui si faceva e si fa il Monte Veronese, che ha avuto bisogno di un consorzio e di un presidio… A partire da questo e dalla tradizione della sua famiglia, ha iniziato il suo lavoro Corrado Benedetti, un artigiano dall’impatto restio, dal prosieguo socievole e dal finale caldo, come se la sua sincerità e la sua fiducia avessero bisogno di tempo e di un altro da sè…
Si scusa della mancanza di Silvia Zullino, vittima delle mie mail e delle mie idiosincrasie nei confronti degli affinatori, via per motivi lavorativi ma che rientrerà nell’intreccio, in quanto raffinata produttrice di conserve e confetture (la sua storia era partita in solitaria con l’esperienza di Montecurto e si è poi legata a quella di Corrado). Mi dice cosa gli ha detto Silvia e mi chiede che cosa mi interessi. Questa cosa mi mette nella difiicoltà di indirizzare la conversazione. Mi viene in soccorso un grosso paiolo in ferro appeso all’interno della bottega. Domando. Gli si illuminano gli occhi e inizia a raccontare. Lì dentro suo nonno aveva iniziato la sopraffina arte della affumicatura della ricotta. Qualcosa che, ancora oggi, è opera di suo padre e della sua conoscenza diretta.
A Corrado è rimasto il vezzo dell’affinamento. La parte produttiva si è declinata nella norcineria o in quello che rimane al di là della chiacchiera. Sì, perchè quello che muove la Lessinia (e gran parte dei biotopi radicalmente socializzati nel territorio) è il gusto del cliente. Nella scelta della pietra o in quella della consistenza del salame. La facilità e l’abitudine, prima del prezzo, decidono la gran parte della stagionatura e del grasso. Quindi la Soppressa dello Schioppo è abbastanza magra, poco invecchiata, anche meno di due mesi, tenera e quasi spalmabile. Sfortunatamente per me, non mi accontento e incalzo. “Io vorrei quelli”. Ma quelli (dei salami stagionati oltre l’anno) pare che siano passati di sapidità e destinati alla beneficienza. Quindi mi accontento di un tre-quattro mesi. Solerte e urbano ma non scalfisce troppo il mio palato.

Addentrandoci nei sotteranei, si trovano varie stanze, con varie temperature e svariati macchinari. C’è il lardo, aromatizzato con le erbe della valle, che emana tutta la sua forza al naso. Sapore di aglio e rosmarino, molto cremoso al palato. C’è la carne salà (troncata nella migliore delle discendenze venete) che proviene dalla fesa, viene speziata e a cui io non aggiungerei né olio né parmigiano. Ci sono quelli tipici, dalla pancetta alla culaccia, ma non mi persuadono fino in fondo. Ad eccezione di un affinamento, una di quelle cose che di solito mi disturbano, perchè mi distolgono. Una lombata affinata all’Amarone: profumo intenso, color carminio, magro ma senza disturbare. Veramente sapiente. 
  Sui formaggi non mi convinco subito. Provo a scrutare. Guardo le celle di stagionatura, le vasche di conciatura, ricolme di recioto o di amarone. Ausculto le varie forme. Dal Monte Veronese al Cimbro. Poi rimango assuefatto dal colore della crosta di alcune forme che superano abbondantemente i due anni di invecchiamento. Le mie richieste vengono esaudite. Un tagliere con Monte Veronese di Malga di due anni e di tre anni (accompagnato da un gorgonzola affinato in vinacce, con una lavorazione alla Baumgartner, che a me non fortifica l’animo se non nel carpe diem, ma che ha una grande suadenza… basta vedere gli occhi delle mie compagne di viaggio…): il primo si presenta, dopo la scrematura e la stagionatura, amabile e cremoso con note di nocciola persistenti sulla crosta (che nonostante sia lavata, mantiene una forza e una connotazione eccellente), gli odori di erba tagliata e fieno sono ricchi al naso ma meno al gusto. Il 36 mesi, invece, è semplicemente un formaggio straordinario, sia nei profumi che nei retrogusti che rimangono: la morbidezza che trova nel contatto con la lingua non toglie nulla al suo utilizzo primario: a scaglie come arricchimento. Solleva la cortigiana dall’obbligo del rendiconto e dell’abitudine, rendendola degna. 
  Negli assaggi e nelle chiacchiere, appare la presenza del convitato di pietra, Silvia Zullino. Pentoloni, tavole, cartoni e vasetti. Una stanza all’interno di un capannone e l’artigianalità in tutta la sua espressività. Una giardiniera edulcorata, senza troppa acidità, apre la strada alle più classiche delle cipolle caramellate, un filo troppo salate e la chiude con un peperone, stemperato nell’aceto ed esaltato dallo zucchero, veramente interessante. Tra tutte le marmellate, scelgo quelle senza pectina e senza nessun altro gelificante. Pere, more, ribes e arance, pur avendo una tracciabilità, una storia e una riconoscibilità al palato, mantengono connotazioni proprie, eccezionali, che si sviluppano meglio in solitudine che negli accoppiamenti…

Mentre Corrado affetta e imballa, il mio orologio mi riporta al senso del tempo che ho mollato un paio d’ore prima. Devo salutare. Mi ferma e mi mostra qualcosa che non fa lui. Dei cestini in legno, lavorati per lui da una comunità di disabili della zona: di una bellezza utile dalle sfumature provenzali. Poi gli stringo la mano. Possente. Mi accorgo di come sia riuscito a coinvolgere persone che non credevo si sarebbero fatte interessare. Più con gli assaggi che con la favella, questo è incontrovertibile… ma anche con la nobiltà di non confondere il cliente con l’allievo. Sempre con la domanda pronta e il consiglio da chiedere, per stuzzicare quella velleità, tutta femminile, della ricerca di colore…

CORRADO BENEDETTI
CROCE DELLO SCHIOPPO, 1
S. ANNA D’ALFAEDO (VR)

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *