Un pezzo di storia che ogni tanto si rinnova, ogni tanto no… Santo Musumeci

Randazzo. Qui ci troviamo di fronte ad un mistero. Vicoli deserti, turisti latitanti. Certo, il mare non è vicinissimo, ma la bellezza sì. Te ne accorgi, percorrendo i tornanti che diradano da Floresta. Il greto del fiume Alcantara, chiaramente vuoto, lo cinge, lasciando scoperta la roccia che si confonde con la pietra, al cui crepuscolo appaiono le antiche abitazioni. Un’immagine rinascimentale con le finestre riverse nel vuoto e nell’abbandono.
Randazzo è la città dei campanili. In un non quantificabile passato, erano centotre, quasi uno ogni cento abitanti. Dio era l’espressione cacofonica di centinaia di scampanii. 
I suoi viottoli che né salgono né scendono, si intersecano in un dedalo di contraddizioni e ortografie fascinose. Le chiese, alcune di bellezza struggente, s’incagliano tra la vista, che vorrebbe spaziare tutt’intorno, verso la piana dell’Etna, abbandonandosi all’istante, e le nuvole che circondano il vulcano, salvaguardandolo da uno sguardo sereno e scabro. Qui la lava è uno spauracchio, diventato realtà il 17 marzo 1981.
Il negozio ha subito danni, così come la sicurezza. Ma il padre di Santo, camionista dalla forza pratica e dall’intelligenza selettiva, ha coltivato per un attimo la speranza che tornasse al paese del sole (Piedimonte Etneo ndr…) e smettesse di fare quel lavoro, in mezzo ai monti, imparato dal fu Santo Musumeci, suo cugino e pasticcere in quel di Acireale, paese che ha reso libero il dolce, inverandolo in varie specialità e in alterne possibilità (ormai defunte e tumulate…). Nulla, Santo Junior (che arzillamente se ne va per i settanta…) ha proseguito, tra discordanze e concordanze, tra colpi di genio e rapporti commerciali. I fornitori sono infiniti, c’è un’assenza di controllo, poco artigianale e molto confusionale. A volte si cade nella margarina, a volte nei semi-lavorati… ma quando la fantasia sporca la pulizia dei gusti (che nella maggior parte dei casi sarebbe una profanazione religiosa…), rivisitando, miscelando e creando neologismi, i gelati di Santo diventano di una suadenza fanciullesca.

Pirandello, Afrociok, Oro Verde, Maperò, Fragolissimevolmente (il nome mi ha inquietato, il sapore pure, ma per l’obiettivo centrato perfettamente: opulenza della fragola e pulizia della menta…) e Strafico sono delle miscellanee di sapori, fragranze e soprattutto tradizioni che mettono sulla strada della sincerità. È come se la dolcezza siciliana divenisse creazione, per tornare golosità, senza fronzoli, senza pensieri, senza elenchi di prodotto, idiosincrasie o intolleranze. È il gelato come era una volta. Più freddo, più dolce, con quella mantecazione lieve agli occhi che non puoi fare altro che leccare.

E Santo è un enciclopedia dell’evoluzione delle papille gustative dei suoi clienti. Dalla cultura all’officina, dalla natura alle case popolari, i suoi gelati non sono forme estetizzanti e di principio, ma sono vittorie di concorsi, cori unanimi da parte di pubblico e critica (Sherbeth festival docet…) e crateri di umanità dove rigettare la spocchia, le domande con il naso all’insù e i pantaloni sartoriali. Rimane quel tanto di umanità che, nel suo racconto, oscilla sempre tra la lacrima e il sorriso.
La sua storia è quella del lavoro e quella del padre. Sua figlia Giovanna è l’espressione massima di una cultura che non ha imposto ma che ha cercato di donare. Ove possibile, in quei minuti liberi dal mestiere che formano, educano e vieppiù insegnano. Ironia fuori luogo. Randazzo è troppo sonnolenta per un’intelligenza femminile così diversa. Troppo libera per quei reticoli morali anacronistici. Giovanna è l’esecuzione e la volontà di Santo, la sua espressione mondana…
Ma Santo è anche un tradizionalista, uno che ha disegnato un riparo alla pasta di mandorla oltre trent’anni fa e non l’ha mai cambiato. Sempre attuale nella sua mostrazione e con quell’aria demodé che sfida le logiche montanare. Qui l’aria pare essersi fermata, così come la lunghezza dei calzoni dei belli imbusti impomatati che ancora ricorrono al capello per fare il colpo domenicale. Le sagre, i cannoli, la granita, la croce e le campane sono dei riti che creano sicurezza e quotidianità. Nulla di ovvio e nulla di estremamente poetico. Solo momenti senza cui il paesano non potrebbe fare suo il paese. Come la metrò o le code, così come un tavolino del bar di Musumeci. Affacciato su una meravigliosa piazza, troppo stretta per mostrare la sommità del campanile di una chiesa che porta ombra e segna ritmi.

Il tavolino regge le granite. Fatte a regola d’arte. Senza la modernità del gusto, ma con quel ghiaccio colato che non puoi fare a meno di bere. Riportandoti nei campi di limone o nell’essenza della mandorla e della sua amarezza. Il pistacchio è denso e grezzo. Controllato e pieno. 

… e regge pasta di mandorla e pasta di pistacchio (c’è poi una declinazione di croccante al pistacchio con, in aggiunta a profumare, buccia di mandarino… terra, terra e ancora terra… altro?). La seconda non è una base mandorla a cui viene sovrapposto il pistacchio, è una piccolezza monogusto con la pecca di mancare di legante (forse del miele giusto ad esaltare e non a inficiare il frutto…). La prima è eccezionale. È dolce, ha quella sofficità che riporta al passato, è decorata con lo zucchero a velo, ha la tipica forma a croce bombata, ha il colore del pan di spagna e l’assenza di essenza. È mandorla nella sua declinazione più siciliana: un barocco giorno di festa.

Santo Musumeci racconta la sua storia che è quella delle persone che hanno scelto. Ha fatto l’autotrasportatore, ha sofferto la solitudine, ha una narrazione per la tristezza e una per la felicità. Ha bisogno di orecchie per non essere frainteso. Usa ancora le mani, sposta gli occhi, ricerca l’attenzione attraverso l’attenzione verso l’altro. È un uomo istintivo, come quando si diverte a mostrare le creazioni artistiche di sua figlia e le declinazioni della sua Martorana nelle tipicità di una terra mai negata e sempre esaltata. Santo non conosce l’alterigia, è rimasto legato al saluto, al rifiuto, alla parola scritta e alla stretta di mano. Il contemporaneo fa a meno di lui e lui ricambia… troppo libero per un nome che lo racchiuda… menestrello, gelatiere, pasticciere, pasticcione, visionario, deferente, rispettoso, anacronistico, son tutti punti di vista limitativi e vacui… Santo è il genius loci da sostituire al cartello con scritto Randazzo…

PASTICCERIA GELATERIA SANTO MUSUMECI
PIAZZA SANTA MARIA, 9-10
RANDAZZO (CT)

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