Una cascina che ha corretto il passato… Lucio Martino e Paola Grandoni

Caraglio. Dove c’era l’industria ora c’è l’agricoltura. E quando te lo spiegano, indicandoti un castello, edificato intorno alla fine del’600, la faccia continua a mostrare incomunicabilità, manco fosse di Monica Vitti. La spiegazione è stupefacente: un filatoio, una delle fabbriche di seta più antiche d’Europa. La filanda, il coke, la ciminiera in mattoni rossi, l’immagine delle operaie sporche di fuliggine sono più tardive, più vicine. Qui siamo molto più indietro, l’architettura industriale aveva la forma delle sottane e dei balli di palazzo. Con la tecnologia, è arrivato l’allevamento del baco da seta e, con lui, la coltivazione del gelso. Anche perchè il paesaggio, all’imbocco della Val Grana, quella sublimata dal Castelmagno, la stessa imbarbarita dal Castelmagno (ma questa è un’altra storia…), è assolutamente lontano dall’industriosità. Ha ancora addosso la possibilità della pianura e, nello stesso tempo, guarda alle montagne come a qualcosa di molto vicino. Pesche, mele, susine, nocciole, aglio e fagioli… tutto quello che, superata la neve e messi da parte i boschi, ha trasformato l’economia tessile in usufrutto e autarchia.

In fondo ad una frazione, dove le stradine squarciano i filari, Cascina Rosa ha recuperato, didatticamente, la mostrazione del baco da seta e ha trasformato, in biologico, quel territorio senza carenze.

L’accoglienza di Paola è quella di una donna stanca. Lucio arriva, passa e se ne va. Credo non stesse molto bene. Il concetto di troppo è un confine che si delinea all’orizzonte. L’inizio è un’accoglienza che solitamente avviene per telefono. Ma è come battersi contro i mulini a vento. Quelli definibili “giornalisti” sono un foglio, una penna e delle domande preconfezionate. Lo studio, sfortunatamente, è altrove. La mia presenza lì è tangibile e il tempo mi ha dato ragione. Una delle prime realtà biologiche in Italia, percorsi adattati dalla scientificità, un matrimonio nato con le certificazioni, nel lontano 1987. I blogger odierni, con le foto dei piatti e il caleidoscopio sempre a vezzo d’uso, non attecchiscono bene agli scarmigliati della nutraceutica. La madre di Paola, con i suoi gerani e la sua sagacia, rompe l’ordine, rendendo il clima familiare. Da lì è tutto una passeggiata negli otto ettari di terreni, tra cavalli, coltivazioni, orti, vegliarde locatarie da affitto sovietico, boschi ad attitudine selvatica, vicini di casa un filo disordinati e luoghi dedicati a prodotti e persone.

C’è una porta di legno con una Pera Madernassa stilizzata al posto del maniglione, c’è la stanza della fattoria didattica, con i serpenti sotto spirito, l’aglio intrecciato, i bachi da seta e le scope di saggina a mostrare la tradizione di stanze e luoghi, c’è il fienile rialzato da trasformare, presto o tardi, in una struttura agrituristica dove fare fermare persone e tempo, ci sono i figli ribelli e quelli che del ribellismo hanno fatto una quotidianità contadina, c’è la grande stranza delle trasformazioni, senza autoclavi o modernità coatte, dove il tecnicismo ha lasciato spazio alla naturalità e alla concorrenza da bottega del gusto (il succo di mela è la nuova moda delle confetture… ebbene? La Cina è sempre più vicina… e Cascina Rosa non ne ha bisogno…), c’è la smielatura dei favi, ci sono le botti dell’aceto e i serbatoi per i liquori… e poi ci sono i campi e le serre…

La mappatura divide il territorio, tra i noccioleti, i meleti, i piccoli frutti e tutto il resto. Lentamente, nel mezzo della passeggiata, le sovrastutture cittadine di Paola vengono meno, un po’ per incanto di mamma, un po’ per fiducia anti-isteria. Lo stress da spiegazione, quella reiterazione infinita di stagioni e nozioni, scompare, lasciando spazio ai cicli e alla bellezza. Il rosa delle pareti, i vigneti, gli stagni e gli animali appaiono più morali e meno pretenziosi.

I prodotti…

Le confetture, alcune delle quali vengono prodotte senza zuccheri aggiunti (e chiaramente senza pectine aggiunte), e i succhi sono molto rispettosi di territorio e stagionalità: quindi ramassin (acido nel frutto e acido nel trasformato), pera madernassa (nel nettare, particolari sentori di uva passa), cognà, mirtilli selvatici (unica frutta acquistata perchè la differenza con quella coltivata pare sia abissale…), antiche varietà di mele (Carla, Bouras, Jubulè… molto piacevoli nel succo, al primo impatto acido, ma particolarmente beverino…), albicocca Tonda di Costigliole, castagne sciroppate (veramente interessanti…), i frutti di bosco e il rabarbaro (lavorato rispettosamente, perfetto come accompagnamento… citrico, astringente, primitivo…). L’ossidazione non è determinata, i colori e i sapori ne risentono un filo. L’assenza di antiossidanti non deve essere un principio d’essere, ma uno stimolo alla cura. La crema all’aglio è dolce e policorde. Si accompagna, ecco tutto…

La frutta essiccata va da sé. Sotto i 40 gradi, in modo da mantenere l’ortodossia dei sapori. Mancano di friabilità e croccantezza, sono straordinarie al gusto. Il caco è dolce, la mela ha retrogusti lunghissimi, rari, la pera è pastosa… ma quello che stupisce è il ramassin: solo buccia, più spesso, meno secco, più ricco di zuccheri, è acido solo in apparenza..,. Esplode nel suo essere prima del frutto, come nemmeno la susina fresca può fare… primigenio ed essenziale.

Paola è una continua presenza a cui andrebbero arcuate le giustificazioni, le certificazioni, le dimostrazioni. Non ce n’é bisogno, l’assenza, quella del lavoro, quella di suo marito, quella delle trasformazioni, è già di per sé una spiegazione. I gusti carichi, quelli da laboratorio o da ripiano della Gdo, sono la normalità percettiva… l’unica necessità è un cucchiaino o un bicchiere… poi i pregi, così come i difetti, non possono che parlare per loro… l’etichetta è sempre un viatico di forma… dove il sano prende il posto del buono… dove se non è biologico, ma selvatico (quindi senza certificati…), non è giusto… sono cose da donna americana di stanza in Italia, con flessione gergale alla Wendy Windham, o da associazione di donne all’ottavo mese di gravidanza post-nevrosi… una volta c’erano i vibratori ora c’è il bio a tutti costi… Cascina Rosa è molto di più, è una forma di accoglienza… ogni tanto, basterebbe mostrare…

 

CASCINA ROSA

LOCALITA’ BOTTONASCO 28

CARAGLIO (CN)

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